domenica 22 gennaio 2012

PER SPECULUM IN AENIGMATE - CONVERSAZIONE CON ROMEO CASTELLUCCI

terzo grado a cura di Manolo Magnabosco



Manolo Magnabosco - Credo che sia anzitutto il caso di soffermarsi sul nome che questo corpo teatrale porta: Sul concetto di volto nel figlio di Dio". Tutti si son concentrati sul 'volto', mentre se c'è un'analogia tra il volto del Da Messina e la scena, questa sta proprio nella filialità. E nell'abbandono da parte del padre.

Romeo Castellucci - Già nel titolo si mostra la simmetria-asimmetrica tipicamente biblica del modello di tutti i rapporti: un padre e un figlio. Dio e Gesù, rappresentati nel titolo e sul piano verticale dal ritratto di Antonello, e un figlio con il proprio padre, rappresentati da quello orizzontale del salotto borghese.

Un piano sequenza di 45 minuti: un padre e un figlio. La memoria corre ad Abramo, il padre chiamato a sacrificare il figlio. Oppure, in questo caso, il figlio che si lascia finalmente sacrificare dal padre. Un piano sequenza in tempo reale. Il tempo si srotola come quello naturale, relativo all'azione e alla esperienza dello spettatore, perché in definitiva è una esperienza che appartiene solo a lui. L'azione si stende nel nastro temporale come un semplice fatto perché non è ancora un dramma. Questa azione non entrerà mai nella Storia: è routine.

E' questa la dimensione tragica dell'azione: il silenzio e la banalità che la avvolge. Non ci sono alture qui, non c'è la vetta del monte Mòria di Abramo, ma solo un televisore al plasma, un tavolo di vetro e un divano, blister medicinali.

MM - Preme anche porre l'accento su un cardinale punto di fuga del lavoro, sul quale forse non ci si è soffermati abbastanza: a un dato momento Scarlatella va sotto le labbra del Cristo, baciandolo e al contempo formando prospetticamente un ideale dito indice (il dito di Dio?) che sigilla le labbra e invita al silenzio

RC - E' una giustissima lettura alla quale non avevo pensato. Io avevo notato che solo in questo momento ci si rende conto della differenza di scala tra una persona reale e la gigantografia del Volto come a voler ristabilire un senso di proporzioni e di grandezza.

Il Volto è un fondale e come tale risiede e "riposa" in fondo alla scena, imprimendo una spinta invisibile, ma fattuale, all’azione. Così grande è una presenza che non è possibile relativizzare e "ridurre" a scenografia. Funziona come un’autentica presenza. Lo sguardo del Salvator Mundi fissa dritto negli occhi ciascun spettatore. Non è possibile, in un certo senso, sfuggirgli.

L'idea che hai avuto del silenzio è molto bella. Anche perché in questo momento avviene una cesura nello spettacolo. Tutto diviene astratto, sincronico, sublimato in pochi colpi di azioni. Tutto precipita e tutto si trasforma, uno, due, tre volte, fino alla consegna finale aniconica di un doppio spazio spoglio. Vuoto. Vuoto come il sepolcro. Il pavimento bianco appare senza mobili e tracciato dai segni del colore lasciato dal cammino del padre durante la scena (come si trattasse dei primi passi dell’uomo sulla luna) che possono ricordare anche un quadro di Pollock.

MM -Torniamo un attimo indietro. Tutta la prima parte del lavoro, la dissenteria incontenibile del padre anziano, risuona come una compassionevole traduzione del Mene Tekel Peres del profeta Daniele: un aspetto che continua a essere ciecamente costretto e trivializzato in un'ottica nichilista e unidirezionalmente scatologica, che invece il tuo teatro ha sempre aborrito e scongiurato...

RC - La frase contenuta nel Libro di Daniele è centrale in tutto il mio lavoro. Rappresenta moltissimo per me. In questo caso potrebbe voler significare la "riduzione" dell'uomo a contenitore che si svuota sempre di più fino alla morte. In un certo senso questa frase rappresenta il compendio del destino dei viventi: ricordati quello che sei: tu sei questo. Sei carne. Sei putredine. Sei verme. Sei massa.

Qui non scorre il sangue dal capro che prende il posto di Isacco, perché il sangue della vittima è sostituito dalle feci della dissenteria di un vecchio uomo. Le feci dell'uomo. Il Libro di Qoelet ci ricorda che siamo nati mescolati alle feci di nostra madre e che qui ritorneremo. Le feci sono evidentemente una metafora della realtà. Sono la Cosa. La cosa, alla fine dello spettacolo diviene, per quantità, totalmente incredibile, nel senso che non crediamo più che si tratti di escrementi - è mostrato l'artificio attraverso il quale le feci sono rappresentate: un contenitore di plastica che il genitore si versa addosso, facendo collassare d'improvviso la finzione. Ma ecco le prime ambivalenze: le feci sono anche l'oblazione assoluta del bambino nei confronti della madre. Appena il bambino ha l'intuizione del mondo produce consapevolmente qualcosa di suo. Per un momento della nostra esistenza le feci hanno rappresentato il dono unico, il distillato della nostra stessa vita da consegnare come oblazione all'essere divino che stava davanti a noi e dal quale dipendevamo: la madre.

Era tutto quello che avevamo e lo abbiamo donato. Che strano ora che un vecchio uomo alla fine dei suoi giorni ripercorra quegli stessi gesti. Questo vecchio padre che li consegna al figlio il quale, sopraffatto, a sua volta si rivolge al Figlio del Padre.

Tieni padre, è tutto quello che ho. E’ tutto quello che sono. Sono la tua creatura. Amami.

MM - Hai altrove affermato che una delle molteplici chiavi interpretative della prima parte è il destino dei figli di ripulire la merda dei padri. Paradossalmente e per ironia della sorte chi ti sta attaccando in questi giorni trova deleterio e irrispettoso un messaggio che appartiene allo stesso Ecclesiaste (le colpe dei padri ricadranno sui figli)...

RC - C'è anche questa lettura "politica", certamente. C'è una superficialità che impressiona nell'uso delle Scritture che spessissimo sono utilizzate a mo’ di maglio, per colpire, per giudicare. Io posso avere commesso degli errori, certo; sono un sedicente artista ( anche se odio questa parola) e in quanto tale compio errori. In certi casi programmaticamente. Ma perché questo odio nei miei confronti? Ammettiamo per assurdo che io abbia voluto irridere il Cristo… ma perché odiarmi? Che senso ha? Se io avessi veramente bestemmiato perché non abbracciarmi ancora di più e scrivermi messaggi di amore? Perché vedono nemici da tutte le parti? E perché vogliono difendere Gesù (da che cosa poi? dal mio amore?)? Non sanno che Gesù usò l'espressione "vade retro Satana" proprio nei confronti di Pietro? …e sapete cosa voleva fare Pietro in quel momento? Voleva dare la sua vita per difendere Gesù. Come può un uomo difendere Gesù? Questa sì mi sembra, più che una bestemmia, un terribile atto di orgoglio che vuole sostituirsi alla misericordia divina.

MM - Senza contare che a scongiurare la bestemmia c'è la mescita di inchiostro, che è una letterale emorragia delle Sacre Scritture. Ed è anche un sudario sul volto. Un sudario biblico, suggellato e sigillato da Tu sei il mio pastore. Il not sembra quasi volerne anticipare il seguito: io non vorrò...E' un'impressione esatta?

RC - Le impressioni sono sempre esatte (ma uno deve dichiarare che sono le sue…per assurdo potresti dire che per te quelle sono feci, perché quello in quel momento ti appartiene, è tuo…). L’inchiostro nero è certamente il sudario dietro il quale sparisce il corpo. Un velo nero che scende sugli occhi. L’attimo stesso della morte che Gesù ha fattualmente provato. È rimasto cadavere per ben tre giorni. Tre giorni. E poi ha lasciato una stanza vuota. Ecco, questo vuoto è la chiave di tutto. La chiave di volta che spazza via l’immagine del mondo e l’immagine di Gesù stesso.

Bisognerebbe tornare a parlare di blasfemia. Il simbolo dei cristiani cattolici è infatti una bestemmia: la croce: uno strumento romano inventato per abbruttire e irridere le vittime. Ora è un simbolo, lo portano nelle piazze. La corona di spine che è stata posta sul capo di Gesù a sollazzo dei soldati romani che lo chiamavano re e gli sputavano in faccia. Anche quella era una bestemmia e adesso è divenuta un simbolo sacro. Gesù, ci ricordiamo perché era stato condannato? Perché era un bestemmiatore. Si può andare avanti così. Non parliamo delle bestemmie storiche per le quali scienziati hanno pagato con la vita. E quelle, sante (Dostoevskij su tutti) contenute nelle opere d’arte di tutti i tempi. L’elenco è immenso. Perciò quando sento la Chiesa scomunicare qualcuno per blasfemia mi viene da piangere, perché proprio loro consegnano il loro Cristo mediatico-consolatorio e bidimensionale nella desolazione delle comunicazioni, in mezzo ai varietà televisivi. Dov’è il sacro rispetto di quel Volto? Dov’è la lotta con quel Volto? Troppo facile per me, ora, parlare della pagliuzza.

MM - L'inchiostro e le lacerazioni che trasfigurano il volto a un certo punto rendono quasi baconiano il dipinto. Quindi lungi dall'irriderlo e annichilirlo, se ne raddoppia la valenza estetica, la disperazione, l'aspetto parabasico...

RC - La lacerazione e l’inchiostro nero rappresentano certo un corpo a corpo con quel Volto, come la meravigliosa immagine della scena muta, notturna e per certi aspetti assurda della lotta di Abramo con l’angelo. Qualcosa si lacera, si strappa: ma attenzione: chi o cosa si strappa? È la tela o siamo piuttosto noi a lacerarci in questo momento? Come se non ne potessimo più, in un autentico gesto catartico ci “liberiamo” di quello sguardo, lo strappiamo letteralmente via perché ci ha davvero visto. Troppo intimo, troppo vicino a me, troppo me, troppo specchio. Dietro il telo c’è una scritta scavata nel nero del legno e che si esprime attraverso la luce bianca. You are my shepherd. You are not my shepherd. You are my shepherd. E poi il volto ritorna. E poi scompare ancora. E poi solo il suono di uccellini che volano in una finestra.

MM - Parimenti, la sassaiola di granate lanciata dai bambini crea un duplice sfondamento di senso: da una parte il "Lasciate che i bambini vengano a me", dall'altra il "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". E' una convergenza, una sinusoide tra due forme e forze di purezza...

RC - La domanda mi sembra già una risposta. Per un effetto di luce le finte granate (sono di alluminio: sono state dette una marea di cazzate al riguardo...) mentre volano verso il ritratto danno l'impressione di essere lacrime che cadono dal e sul ritratto. Il significato profondo di questo gesto è da rintracciare nella tradizione evangelica dei gesti della passione. Si tratta evidentemente di una forma di preghiera diciamo antifrastica, come ce ne sono nella Bibbia, rovesciata di segno e che passa attraverso l’innocenza del gesto di un bambino (le armi sono evidentemente giocattoli e il gesto quello del gioco) che percuote quel volto proprio per risvegliarlo e riscattarlo in una forma di nuova e necessaria seconda passione; in un nuovo dialogo con l’assenza di quel Volto, richiamato dagli stessi gesti che lo consegnarono alla croce.

Come dice il salmo 88: Dio, non nascondermi il tuo Volto. L’idea delle bombe a mano giocattolo mi è arrivata da una famosissima, splendida fotografia di Diane Arbus, Child With Toy Hand Grenade In Central Park, 1962 - nella quale si vede un ragazzino esilissimo stringere una granata con un’espressione contratta di ironico furore. È una potente immagine sull’impotenza. Troppo fragile, quel ragazzo, per sostenere anche solo quel gesto e quel giocattolo, la dove è la mano vuota a esprimere la vacuità del furore innocente. La foto della Arbus per me rappresenta un’icona contemporanea della fame spirituale di questa epoca. Allora i riferimenti sono da una parte Antonello e dall’altra la Arbus.

MM - Le più oltranziste fazioni clericali si stanno puerilmente e pretestuosamente aggrappando a tue remote dichiarazioni su Lucifero enunciate ai tempi di Genesi from the museum of sleep. Il tuo proclama "L'Angelo dell'Arte è Lucifero" sta fomentando anche surreali accuse di satanismo. Vogliamo approfondire il costrutto per i sedicenti addetti ai lavori?

RC - Quanta acribia nel certificare le loro condanne. Quanta tristezza. Lucifero, certo. E allora? L’angelo più bello che ama Dio come un amante e come un amante è geloso della creatura, di Adamo, e per questo viene precipitato. Lucifero voleva l’amore di Dio tutto per sé. Lucifero-Prometeo. Come lui è, seguendo l’etimo, portatore di luce. Lucifero è l’angelo dell’arte perché l’arte nasce dalla tragedia dell’abbandono e del distacco. L’arte trova il suo fondamento nel negativo, nella mancanza, nella vacuità di ogni risposta di fronte alla domanda. La condanna dell’arte è quella di non poter dare risposte ma formulare sempre e solo domande. Lucifero è colui che piange ogni minuto di ogni giorno per aver perso Dio. Lucifero che piange ogni istante per la nostalgia che lo brucia. Lucifero, certo. E allora? Lucifero che è costretto a cercare un sembiante per trovare dimora tra gli uomini e con questa cercare di avvicinarsi, di nascosto, di nuovo a Dio. Lucifero che nell’apocatastasi (la ricapitolazione e il ristabilimento dello stato originale, pensato dai Padri del Deserto) che sarà abbracciato e riscattato di nuovo dall’ infinita misericordia di Dio.

Io parlo di Lucifero, non di Satana. Satana, quello, è un loro bisogno storico, una loro impellente necessità. Non il mio. Come farebbe questa gente senza il povero Satana? E se Lucifero è per me una figura malinconica cosa significa? Che sono satanico? Ma per favore, smettiamola con queste argomentazioni puerili. Cosa vogliono fare? Scomunicarmi? E allora? Dimostrare che avevano ragione loro? E allora? Cosa mi importa? Mi vogliono fare paura o mettere pressione? Vogliono pregare per me? No, vi prego, non pregate per me, questo soprattutto no. Non mi piacciono le vostre preghiere, i vostri piagnistei...

Si rassegnino. L’artista regna supremo perché il suo regno è sottile.

MM - Quel che è indicativo oltreché molto triste è che queste frange hanno paura di riconoscere che una rappresentazione sa essere più sacra e spirituale di una messa, che anzi rappresentazione e messa si equivalgono; che il palco può essere, è, un altare, che arte e sacro sono due sfere spesso inscindibili, che la pietas su cui poggia tutto il tuo lavoro batte quella, tutta ipocrita e orizzontale, dei separatisti che venerano infatti un Dio a loro immagine e somiglianza: forcaiolo, punitivo, censorio. Un simulacro in nome del quale si decide chi può vedere pensare dire cosa, si scatenano guerre sante...

RC - Quando leggo il Vangelo io vedo la forza operante dell’amore. Non aggiungo altro.

MM - Dagli attacchi fatti si evince anche che ormai non si sta più difendendo Dio o Gesù, e nemmeno madre ecclesia, nemmeno un principio, ma solo ed esclusivamente la propria ottusa irriducibilità a esso, o peggio si sta sostenendo un ben preciso schema politico.

RC - Non volevo dirlo ma è la mia stessa impressione. Oramai il mio spettacolo –-che nessuno di loro ha visto - è solo un pretesto per scatenare gazzarre isteriche allo scopo di difendere delle prese di posizioni fini a sé stesse. Per vincere la partita più sterile che si può immaginare.

Niente. La chiesa è sistematicamente incapace di pensare l’arte. Non ce la possono fare. Il novecento pare non essere mai esistito per loro. Si registra un’ idiosincrasia pressoché definitiva tra arte e religione. Pazienza. Vorrà dire che ci penseranno le gallerie d’arte ad occuparsene.

MM - Che tutto questo stia accadendo in Italia non riesce a stupirmi, mentre mi dà da tremare che abbia avuto scaturigine proprio nella patria di Artaud. Sintomo di una svendita della propria progenitura culturale per un piatto di lenticchie...

RC - I gruppi francesi sono l’equivalente dei nostri forza nuova, casa pound, militia christi, tradizionalisti dai lugubri nomi in latino, etc..etc.. In Francia era tutto un gioco politico della destra estrema interna alla destra. Hanno creato la allucinante menzogna delle feci contro il Cristo come puro pretesto per giustificare al mondo la loro azione. Per dimostrare che esistevano e per lanciare messaggi alla destra più moderata e laica. Questa menzogna è stata anche il boccone avvelenato che hanno distribuito qui, in Italia. Tutto si è creato dal nulla, da un giorno all’altro, sui blog. Ti rammento che lo spettacolo ha due anni di vita ed è stato rappresentato in quasi tutte le capitali europee e nessuno ha mai parlato di blasfemia. Esiste una rassegna stampa immensa come si può immaginare: nessuno parla di oltraggio. Ho ricevuto lettere di persone che hanno trovato la fede dopo aver visto lo spettacolo. Teologi ne hanno scritto e giornali cattolici ne hanno parlato come di un lavoro profondamente spirituale, E allora? Perché solo dopo Parigi appare questo problema? La risposta è ovvia. Corrisponde a un progetto, a un preciso scopo politico. D’altra parte queste persone, qui come in Francia, sono convinto che godano all’idea che si stia bestemmiando. Ne hanno un bisogno vitale perché li fa sentire vivi.

La Francia però ha reagito con fermezza. Le più alte cariche dello Stato e della città erano fisicamente, sul palco, al nostro fianco: il Ministro della Cultura, il Sindaco di Parigi, l’Arcivescovo. E tutta la comunità artistica dell’intero Paese.