di Tom Six
con Dieter Laser, Laurence R. Harvey, Clayton Rohner, Eric Roberts, Robert LaSardo, Bree Olson, Tom Six, Tommy 'Tiny' Lister, Micheal Flores
Da quell'indomito trollone che è, addivenuto non senza
contrattempi, traversie e delay all'agognato numero tre Six decide di
abbracciare la più spudorata deriva
iperbolico-autoironica-cazzona-cazzara-hipsterica-metatutto al cubo, e come
sempre i mezzi termini sono i primi esclusi: si prende ebbri di wow o si lascia
con lo yawn e il bah! a tracolla. Qualcosa mi dice che a lasciare e recalcitrare saranno
in tantissimi e che le reazioni-recensioni negative verranno sicuramente
fuori come scarafaggi da un tombino aperto perché Six se la gioca in un modo
talmente ancipite e sghembo che non si sa mai davvero come prendere il film.
Che si tratti di fan o di chi cerca il discrimine, al pubblico non
va mai bene niente, non uniformemente almeno (e Six lo sa fin troppo bene): se
come nel primo l'idea resta tale e fuori-campo, si rimostra che non è portata
alle estreme conseguenze; se nel secondo queste estreme conseguenze vengono
pienamente soddisfatte, si guarda il dito che indica la luna ed è tutto un coro
sdegnato di "a morte il pervertito!". Come completare la matrioska
per inimicarsi più o meno tutti ed evitare di ripetersi in un senso o
nell’altro? Semplice: giocando la carta della più sfrontata farsa con carico a
180 meta-testuale di riporto, di modo che l’audience abbia egualmente da ridire
su pressoché tutto.
Tom compie il suo angolo giro con una scaltrezza e una
consapevolezza segnica invidiabile, andando aldilà del principio di
dispiacere, dribblando le aspettative di pressoché chiunque, facendo il gran
botto proprio evitando di farlo, ricorrendo a una caricaturalità (e spesse
volte anche a una bieca banalità) spintissima e anticlimatica e a un grotesque
intirizzito che sfiata volutamente tutto quanto potrebbe esplodere o lo rende
comunque squilibrato e discrepante nei modi, nei tempi e negli umori,
scontentando chi si aspettava da questo capitolo finale chissà quali definitivi
sviluppi tematici o chissà quali elevazioni a potenza dell'eccesso visivo (che
pure non difetta).
Risultato: anche stavolta al nostro riesce di perculare tutti al
gioco delle tre carte, scambiando nuovamente di posto e di segno ierofanti e
detrattori, in una virata prank ove tutto è volutamente sciocco e scaraventato
oltre l’orlo del più ingordo baratro del balzano e del bislacco, e che si
tratti di acting o situazioni, il film finisce con l'essere la più sperticata
macchietta di tutto: del genere carcerario, dell'epopea di Six (che ha la
civettuola sagacia di parodizzare, dissacrare e buttare alle ortiche senza
pietà se stesso, il suo trittico e tutto il culto e il brand che ha generato),
del torture porn, del cinema che cerca la più vieta scorrettezza politica a
tutti i costi e per partito preso, del fandom che su questo cinema sbava (e del
relativo concetto/meccanismo di hype e buzz scandalistico, come di franchise e
merchandise) come dei denigratori che per questo cinema (e per i suoi autori e
seguaci) invocano la forca, rimasti stavolta senza più bersaglio perché
anticipati da un artifex-joker che se la spassa un mondo nel buttarsi giù prima
che terzi possano arrivare a farlo, ma che ha al tempo stesso l’astuzia di
restituire con gli interessi sugli interessi tutto quanto schernisce, portata
teorica compresa, affinché aldilà del divertissement cerebrale un film a casa
lo si porti comunque, ma andando spericolatamente contromano a ogni possibile
captatio benevolentiae: a un certo punto del film il protagonista
esclamerà una frase che è la chiave centrale del senso ultimo dell’operazione,
da tenere al collo per tutto il viaggio, e rimirare quando non siamo sicuri di
dove voglia andare a parare il film (la risposta è: da nessunissima parte):
"Questa è una punizione e non voglio che nessuno, e dico nessuno, possa
anche solo per un attimo divertirsi di questa idea!", uccidendo chi
non vede l'ora di prender parte alla folle operazione punitiva. Non andrebbe
sottovalutato che a intimarla è quel Dieter Laser che qua assolve a
cialtronesco doppleganger di un Tom Six che fa di tutto per screditar se
stesso, sovraccaricando tuttecose al punto da fare impazzire volutamente la
maionese e scansando ogni possibile crescendo: la mise à la Gei Ar che Six
sfoggia nell'everyday life è la medesima che viene messa addosso
all'esagitatissimo Laser per tutti i 103' di film. Gemelli eterozigoti
nell'aspetto e nella mansione: direttore di un complesso carcerario l'uno e di
un complesso cinematografico l'altro, kamikaze uniti nella medesima missione
suicida.
Ah, già! La sinossi. Beh, ormai la
conoscete già tutti, no? No? E allora, per sommi capi e senza sostanziali
spoiler, corredo: il Laser-Mengele del primo film (una fortuna che Udo Kier sia
stato rimandato a casa, ché con lui sarebbe venuto meno un buon 80% della
prorompenza meta-testuale) qua
si reincarna nello stereotipo del sadico iper-nazista direttore di un carcere
di massima sicurezza texano alle prese con un corpo-detenuti particolarmente
riottoso e voglioso di levargli la prima pelle di dosso per i suoi metodi
tutt’altro che ortodossi. Metempsicosi vuole che il suo consigliori sia lo
scocomerato Lawrence Harvey del n.2, ivi sempre sfegatato ultrà dell'epopea di
Six (ma deliziosamente rovesciato di segno: da temibile disadattato keatoniano
è stavolta più simile a una stramba mistura agrodolce di Ollio, Chaplin, i
Three Stooges e il cartoonesque con la saggezza di un Sancho Panza) che, anche
al fine di ingraziarsi un governatore che pur di non perdere elettori alle
imminenti elezioni è pronto a silurarli, cerca vanamente di dissuadere Laser
dall'impopolare e interlocutorio ricorso alla forza bruta e alla gratuita
tortura, controproponendogli come ideale soluzione contenitiva (anche delle
spese cui l'apparato deve far fronte, cibo e carta igienica in primis) la messa
in pratica dell'operazione da entrambi perseguita con relativo successo nei primi due
film. Per certificare la bontà dell'operazione ed assicurarne il varo, verrà
convocato lo stesso Tom Six che, non senza ostentare fierezza per come la sua trovata fictionale possa assolvere nella realtà quotidiana scopi correzionali,
garantirà sia l'accuratezza clinica del tutto che la valenza punitiva
dell'insieme: per il proprio esclusivo tornaconto, Laser cede ai suggerimenti
e, perplessa equipe medica alla mano, manda in porto il tutto, arrivando a farsene
supervisore con un paio di variazioni sul tema.
E' fin dal plot chiaro come la geo-umoralità che
nel primo capitolo perseguiva stili e atmosfere alemanne e nel secondo
risonanze che da austriache sfociavano nell'invernale aplomb britannico qui si
rovesciano a peso morto e senza rete nella vis a stellestrisce, dando a Six di
rivelare e sfogare senza ritegno le proprie origini dark comedy, che le
esplicita infatti buttando in furlana tutto quel che si muove, scansando sia la
grande fagiolata tanto per sia procedendo in direzione ostinata e contraria al
voler apparire/dover essere cool: da una parte la burletta, dall'altra
scongiurare che la burletta possa compiacere e, sia mai!, divertire.
L'umorismo buio che nei primi due echeggiava
sullo sfondo qui deflagra fino a rendere tutto caricaturale fino al ghirigoro
brut-art che rende ossimorici vettori e topoi che al tempo stesso si
digeriscono a vicenda travolti dai medesimi succhi gastrici: non siamo quindi
all'algida compostezza del primo né alla britannica dimensione para-lynchana e
ultra-splatterissima del secondo, quanto piuttosto a un insanabile corto
circuito generato dalla somma algebrica dei due, che lungi dal dare luogo a una
logica prosecuzione lineare si risolve in una messa in abisso, lontana -caso
mai lo stiate deducendo- dalla demenziale tromata come anche dalla comicità ZAZ
che avoca grasse risate. Se proprio si deve trovare una cifra, diremmo che si
cerca di ripercorrere il primissimo Waters flirtando col pulp e col camp e
occhieggiando a quel Mel Brooks che più si è divertito nel lavorare ai fianchi
il citazionismo a oltranza.
Preso come è nell’autoinghiottirsi e nel
deliberato girare a vuoto, e assorbito dal continuo sfondamento/rivelazione della quarta parete, Six decentra-concentra la ferocia e il gross out
(relegato più a una scorrettezza testuale che visiva) in pochi ma dirompenti
scoppi, feroci quanto basta a garantire lo yeuch, anche quando flirtano con lo sleaze più dichiarato (i.e.: l'episodio allucinatissimo della stomia, che
sembra suggerito da un Tarantino incosciente), durissime sequenze che mostrano quanto Six abbia
ottimamente metabolizzato il torture porn, del quale non di meno si fa
sonoramente beffa come è evidente negli enfatizzati esiti
dell’incubo di Laser. Pur tenendosi sul tono della freddura che non fa ridere,
vi sono comunque dei tandem Laser-Harvey e un paio d'altri momenti da antologia
del più irrisorio humor nero; e pur smontando il giocattolo del torture per
sondarne meccanismi e reazioni, vi sono comunque passaggi che per sgradevolezza
grafica non mancano di farci rattrappire sulla sedia, e ad averla vinta sembra
proprio il fort-da.
Ecco, forse più che il
film in sé, che per certi aspetti è anche (scientemente) brutto forte e fastidiosamente tautologico, a
divertire è la programmaticità a monte del voler smontare tutta la panna, una
freddezza d'intenti secondo la quale non ha più senso valutare il film a se
stante, che ci obbliga a vedere tutti e tre i capitoli in un unicum chiuso ad anello e dunque formante uno Zero, un buco
(nero), un cane che si morde la coda: quel che i tre film ormai formano è un
centipede filmico, un gioco delle 12 sedie che va visto a strapiombo,
dall'alto, nella sua totalità (da cui il vero senso del sottotitolo),
esattamente come Six ci mostra quasi esclusivamente dall'alto questo terzo
trenino dell'amore.
A proposito del quale, so cosa vi state chiedendo e vi tolgo subito la spina dal tallone:
prima di vedere la sospirata catena di 500 e passa corpi Six ce la fa agognare
e dovremo attendere gli ultimi 20' circa del film (come del resto accadeva
anche nel n.2) per scorgerla poco e male (ma siate sereni: la sua preparazione
chirurgica non ci è risparmiata, con risultati che non son fiori di campo, ve
lo assicuro), ma non è importante, perché stavolta la partita si gioca su un
altro tavolo, il film e il suo
senso/gioco stanno davvero da tutt'altra cerebrale parte: la vera
concatenazione è quella da Six ottenuta inanellando parametrici sfottò di tutto
e di tutti che colpiscono e affondano anche il film stesso, in un azzeramento
che porta a Uno.
Unica ciambella col buco strettissimo (e quale
metafora migliore dato lo specifico) il finale sottovuoto, davvero tirato via
alla meno peggio, in balia di se stesso al pari del protagonista, ma forse era il più giusto per un così preterintenzionale epic fail e tutto sommato glielo si
può perdonare, ché nei restanti 100' è certo che gusto, scaltrezza,
dimestichezza tecnica come segnica e strategica, stile e livore non difettano.
Mica poco, considerata la vile materia processata, che vede nell'autoparodia e
nello spreco la migliore delle terze mosse possibili per poter fare un
rapasceto che consenta di ripartire da zero con nuove mitologie - sempre che il nostro non abbia il genio di concepire una quarta fibonacci
sequence.
In
buona sostanza, un’opera(zione) ipercalorica che può piacere solo a chi ama
ingozzarsi di dolci sovraccarichi di crema e glassa, di quei profiteroles che
solo a vederli di lontano stomacano alla sola ipotesi di trangugiarli. Per
costoro Human Centipede 3 sarà un giocattolone di tutta godibilità.
Tutti gli altri si preparino a storcere le nari.