giovedì 19 gennaio 2012

I SAW THE DEVIL


di Kim Jee-Woon




di Kim Jee Woon

Tesi: due nemici sono lo stesso uomo dimezzato. Ma anche: il poliziotto è solo un serial killer col distintivo. E pe
r giunta: non lanciare sguardi di sfida a un abisso capace di sostenerli. Certo, assiomi propulsori vecchiotti, ma mai l'accento era stato calcato così. Il tutto al servizio di una freschezza rappresentativa che fa volar via 144' senza che tu possa accorgertene, e con almeno due pinnacoli di cinema strabilianti: la carrellata circolare in auto e l'iniziale ritrovamento di massa del cadavere della fidanzata dell'ingovernabile Callahan dagli occhi mandorlati. E c'è la prestazione di Chon "Old boy" Min Sik, che da sola vale tutto il viaggio.


Ipotesi: giravolte estetiche, elogi del tecnicismo, amor di preziosismo, parossismo di atrocità e sevizie esuberate e al contempo ingentilite da sua maestà La Forma senza mai dimenticare di raccontare una storia, e di farlo con maestria; revenge sovvertito ed ecceduto dal più spinto parossismo e(ste)tico e dall'ansia di voler dire/essere l'ultima parola in materia di occhio per occhio al di là del bene e del male. Tenue de soirée per Mr, Vendetta.

Sintesi: ISTD = Capolavoro.

QUALIS PONTIFEX PEREO? - UNA LETTERA SOCCHIUSA A RC


Caro Romeo,

l'ottusità che determina questi vessilliferi dell'onfaloscopico fanatismo, avallata da poteri altrettanto ciechi e non da Potenze, ci sopravanza. Per contrastarla occorrerebbero una stupidità e una volgarità che -chissà quanto purtroppo e quanto fortunatamente- non ci sono congenite.
Quel che mi demoralizza e scandalizza dell'attacco che ti è stato fatto non è la sua natura pastorale (che viene anzi meno, non essendoci mai stato un confronto dialettico), quanto il modo acritico e aprioristico in cui viene mosso, senza un minimo di ratio e di cognizione di causa, senza cioé avere avuto l'umiltà di vedere e valutare l'oggetto dello scandalo (ma basterebbe il titolo a scagionarlo da ogni sospetto/equivoco di provocazione) e senza nemmeno aver prima udito in prima persona la tua campana, basandosi più su frammenti di ciò che credono di sapere e non su quel che hanno oculatamente analizzato. Nessun ingenuo stupore, difatti tutte le religioni sono, come anche altre convenzioni laiche, basate sui frammenti elevati ad intero (sarebbe più interessante il contrario) e quando da qualche parte parli dei "disperati", una volta che togli loro anche la disperazione o gliela denudi, non hanno altra risorsa che attaccarti come animali, proprio perché non sanno cosa sia l'Assenza (se lo sapessero, non sarebbero poliziotti del dover credere)
Quello che insomma mi lascia indeciso tra il riso e lo spavento (ma sarebbe meglio, forse, avere paura), è che sembra di essere balzati indietro di 30-40 anni. Anzi nemmeno, perché persino un moloch di scarsa lungimiranza culturale e miopia intellettiva come il democristianoide centro cattolico cinematografico si prendeva la briga di spippolarsi tutti i film prima di gridare al rogo. Tutti, compresi i porno (e qui si potrebbe aprire una parentesi ridanciana che chiudo subito), del resto la pornografia non è che un concetto cattolico.

Forse hanno proprio timore di vedersi smentiti da quella stessa arte e da quella stessa sacralità che per secoli hanno strumentalizzato, minimizzato e trivializzato a proprio favore (Certo, vai a dir loro che il teatro è un oggetto sacro o un luogo di culto...[scherzo, ma restando serio]).

Di fatto, occorre un sacco di ignoranza, di malafede o di involontario senso della patafisica per dare proprio a uno ierofante della pietas come te del blasfemo o, più comicamente ancora, del cristianofobo; ed è chiaro che non c'è, non ci sarà mai confronto. La lotta è impari, la vittoria e la sconfitta pertengono ahinoi ad ambo le parti su piani semantici rovesciati. Non ci sarà mai un dialogo, tutt'al più due monologhi.
Che questo sia accaduto in italia non mi lascia sorpreso. Che invece abbia avuto inizio in Francia, mi dà da tremare: sintomo di una svendita della propria progenitura culturale per un piatto di lenticchie.

Ad ogni buon conto, l'aporia che va radicalizzandosi è assolutamente perfetta: senza fanatici non esisterebbe storia dell'arte. Uomini come quelli che ti hanno attaccato allontanano potenziali credenti da Dio, tu sei riuscito a trasformarmi da agnostico a mistico.


un abbraccio, a prescindere e a trascendere
a prima o poi,
Manolo Magnabosco
il 12/01/2012

SPETAKOLO CAOTICO PURULENTO E PIO


Questo spettacolo nasce dalla considerazione dell’odierna ed estrema solitudine del Volto di Gesù.

Questo spettacolo vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4° comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, della sua incontinenza, del suo crollo fisico e morale. Crede, senza conoscerlo, in questo comandamento. Fino in fondo. Fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere. La kenosis troppo umana di fronte a quella divina.

Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Gli escrementi rappresentano la realtà ultima della creatura, ma anche il vocabolario quotidiano del linguaggio d’amore che il figlio porta al proprio padre.

Questo spettacolo mostra sullo sfondo il grande volto del Salvator Mundi dipinto da Antonello da Messina. Tutto lo svolgimento della scena non è che un piano-sequenza molto semplice che descrive tutti i tentativi del figlio di pulire e ridare dignità al vecchio genitore. Invano. Gesù, il Salvator Mundi, è il testimone muto del fallimento del figlio.

Questo spettacolo ha scelto proprio il dipinto di Antonello a causa dello sguardo che il pittore ha saputo imprimere all’espressione ineffabile del volto di Gesù. Questo sguardo è in grado di guardare direttamente negli occhi ciascuno spettatore. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Questa economia dello sguardo obbliga, perché interroga, la coscienza di ciascuno spettatore come spettatore. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Questo ritratto di Antonello cessa di essere un dipinto per farsi specchio.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche lo rendono possibile, vede l’ingresso di un gruppo di bambini. Entrano in scena con le loro cartelle di scuola che svuotano presto del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno a uno cominciano a lanciare queste bombe sul ritratto.

E’ un crescendo. Ad ogni colpo corrisponde un frastuono. Nel climax delle deflagrazioni, imitanti degli autentici colpi di cannone, nasce dapprima una voce che sussurra il nome di Gesù, poi si moltiplicano fino a diventare tante e tutte ripetono quel nome. Poi, sul finire dell’azione e come fosse il prodotto di quei colpi, nasce un canto: il “ Gloria Patri – Omnis Una “ di Sisak. I colpi delle bombe diventano la musica del suo nome. In questa scena non ci sono adulti.

Ci sono innocenti contro un innocente. La violenza rimane nel gesto adulto mentre l’intenzione è quella del bambino che vuole l’attenzione del genitore distratto. Il bambino ha fame, come si dice nel salmo 88: Dio non nascondermi il tuo Volto.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche di ciascuna sala teatrale lo rendono possibile, prevede in un momento l’uso dell’odore di ammoniaca. L’ammoniaca, come si sa, è l’ultima trasformazione possibile, l’ultima fattuale transustanziazione dell’uomo, l’ultima esalazione del corpo umano nella morte: le spoglie dell’uomo si trasformano in gas, in aureola. Il “profumo” dell’uomo. Il suo saluto alla terra.

Questo spettacolo – come tutto il Teatro Occidentale che trova fondamento nella problematica bellezza della Tragedia greca – obbedisce alle sue stesse regole retoriche: è antifrastico, utilizza cioè l’elemento estraneo e violento per veicolare il significato contrario. La violenza qui significa, omeopaticamente, la ricerca e il bisogno di contatto umano; così come allo stesso modo un bacio può significare tradimento. La lezione della Tragedia attica consiste in questo: fare un passo indietro: rendersi disumani per potere meglio comprendere l’umana fragilità.

Questo spettacolo nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture. Il libro dell’Ecclesiaste, la Teodicea del Libro di Giobbe, il salmo 22, il salmo 23, i Vangeli. Il libro della Tragedia appoggiato su quello della Bibbia.

Questo spettacolo mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero che emana – achiropita, non per mano d’uomo – dal ritratto del Cristo. Tutto l’inchiostro delle sacre scritture qui pare sciogliersi di colpo, rivelando un’ icona ulteriore: quella che scavalca ogni immagine e che ci consegna un luogo vuoto.

Questo spettacolo mostra la tela del dipinto che viene lacerata come una membrana, come un sideramento dell’immagine. Un campo vuoto e nero in cui campeggia luminosa una scritta di luce, scavata nelle tavole del supporto del ritratto: Tu sei il mio pastore. E’ la celebre frase del salmo 23 di Davide. La scrittura della Bibbia ha perso il suo inchiostro per essere espressa in forma luminosa. Ma ecco che quando si accendono le luci in sala si può intravedere un’altra piccola parola che si insinua tra le altre, dipinta in grigio e quasi inintelligibile: un non, in modo tale che l’intera frase si possa leggere nel seguente modo: Tu non sei il mio pastore.

La frase di Davide si trasforma così per un attimo nel dubbio. Tu sei o non sei il mio Pastore?

Il dubbio di Gesù sulla croce Dio perché mi hai abbandonato? espresso dalle parole stesse del salmo 22 del Re Davide. Questa sospensione, questo salto della frase, racchiude il nucleo della fede come dubbio, come luce. E allo stesso tempo è sempre lei, la stessa domanda: essere o non essere?

O piuttosto: essere E non essere.

Questo spettacolo è una bestemmia, come la croce è bestemmia romana, come la corona di spine è bestemmia romana, come Gesù condannato, perché ha bestemmiato. Nel libro dell’Esodo la sola pronuncia del nome di JHWH è bestemmia. Dante scrive una bestemmia nel canto XXV dell’Inferno. Venerare il volto di Cristo nelle icone era bestemmia e idolatria per i cristiani bizantini prima del Concilio di Nicea. Galileo bestemmia quando dice che la terra gira intorno al sole.

Vedere il proprio padre perdere le feci per casa, in cucina, in salotto è bestemmia.

Questo spettacolo non è esatto, questo spettacolo è merda d’artista.

Romeo Castellucci

SUL CONCETTO DI VOLTO NEI FIGLI DI ARTAUD


Comunicato di Romeo Castellucci

Io voglio perdonare coloro che hanno tentato con la violenza d’impedire al pubblico di entrare in teatro.
Li perdono perché non sanno quello che fanno.
Non hanno mai visto lo spettacolo e non sanno che è spirituale e cristico; portatore, cioè, dell’immagine del Cristo.
Io non cerco vie brevi e odio la provocazione. Per questa ragione non posso accettare la caricatura e la spaventosa semplificazione che è stata data da queste persone.
Ma li perdono, perché sono ignoranti e la loro ignoranza si fa tanto più proterva e nefasta quanto più chiama in causa la fede.
Sono persone sprovvedute anche sul lato dottrinale e dogmatico della fede cattolica; si illudono di difendere i simboli di un’identità perduta, brandendo minaccia e violenza.
E’ molto forte la partecipazione irrazionalistica che si organizza e si impone con la violenza.
Mi dispiace per loro ma l’arte non è paladina se non della libertà di espressione.

Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine.
Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale.
Il volto di Cristo illumina con la potenza del suo sguardo tutto questo; e interroga ciascuno spettatore nel profondo.
È questo sguardo che disturba e mette a nudo; non certamente il colore marrone che, rivelando presto il proprio artificio, rappresenta le feci.
Allo stesso tempo - lo devo dire con chiarezza - è completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi.
Chi ha visto lo spettacolo ha potuto vedere la finale colatura di un velo di inchiostro nero scendere sul dipinto come un sudario notturno.

Questa immagine del Cristo del dolore non rientra nell’illustrazione anestetizzata della dottrina dogmatica della fede.
Questo Cristo interroga come un’immagine vivente e certamente divide e dividerà ancora. Per questa ragione io accetto le contestazioni e perdono quelle persone.
Voglio inoltre ringraziare tutto il Theatre de la Ville nella persona di Emmanuel Demarcy-Mota per tutti gli sforzi che sono stati fatti per garantire l’incolumità degli spettatori e degli attori.

RC