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domenica 18 agosto 2013

A COLLOQUIO CON L'OLTRE DELLO SPECCHIO - L'EPOPEA DELLO SCHMERZ DI GIANNI PEDRETTI


     Le dolci carezze della tristezza

Il giardino delle lacrime

Inferno


la copertina della cassetta

Dietro il malessere triadico di Colloquio si cela l'invernale Gianni Pedretti che, patrocinato da un ricco armamentario di synth, tastiere, campionatori, pedaliere e diavolerie assortite, dimostra di saper trasformare come pochissimi altri foglie secche ed umide notti nebbiose in musica, con alchimie sonore che evocano le radici primeve dello spleen e del thanatos. 
L'insieme è una miscela di elegie siderali, melmose e ceree (che ricordano HJ Roedelius nelle sue declinazioni più malinconiche o fanno pensare ad un JM Jarre irrancidito) ed esistenzialismi sartriani ai quali ben s'attaglia il vocione quasi baritonale e dimesso del nostro (prevalentemente effettato e filtrato).
Peccato per l'indefinito versante testuale, con liriche sempre sballottate tra il sublime e il mondano, il banale e l'ineffabile, l'astruso e l'immediato, con qualche cedimento nello stucchevole: il senso della vecchiezza precoce, della fine dietro la porta, l'amarezza per amori perduti idealizzati sempiterni, l'impietosità dello scoccar degli anni, la lacerazione per i commiati definitivi e per l'irreparabile si tengono per mano in questo tetro girotondo dello scoramento, della nausea e del nichilismo. Le dolci carezze della tristezza è piano-bar per aspiranti suicidi e monomaniaci divelti dalla più aspra solitudine. Un lavoro che stilla disincanto e vischiosa disperazione, tanto più intensa quanto appena sussurrata. Il mio applauso va però a Quando sarò polvere, Sequenze I e II, Nel Tempo e Nel Vuoto: 5 tracce strumentali minimali e claustrofobiche, da brividi lungo la schiena.
L'innaffiatoio che irrora Il giardino delle lacrime contiene una miscela di glaciali partiture(Lacrime), sintetiche schegge danzerecce ora marziali (Forte il vento) ora spettrali(L'angolo della vita) e cupi decadenti astratti lied (Io e te Pier; Il tuo mondo). Intimismo, rimorsi rimpianti foto sbiadite sono i frutti della semina di questo "confesso che non ho vissuto". Che abbisognerebbero di qualche innesto; le liriche non sono calibrate al meglio e gli acari, sotto forma di balorde scivolate claydermaniane, da fotoromanzo, sanremoidi (La forma dell'addio, Bellavita, La dea del trono d'acciaio) deturpano il roseto e fanno perdere, ahimè, parecchia linfa alla cupa austerità dell'insieme.
Inferno regala altri abbacinanti frammenti di tenebra; musica da camera mortuaria, sinfonie per veglie funebri o per marce di sepoltura, cori gregoriani, sibili sinistri, voci rallentate, brani al contrario. Cimiteriale ed infero quanto basta, ma non sempre convincente causa alcuni inopportuni passaggi -testuali e non- da club dei cuori solitari (A te come va). Kleist e Cioran avrebbero apprezzato. Per quel che può valere, gradisco non poco anch'io; sentiremo parlare di lui. Ad majora!



Colloquio - Io e l'Altro

Quando vennero dispensate Angoscia, Inquietudine, Disperazione, Infelicità ed Anelito Suicida, Pedretti ha fatto il furbo durante la coda lasciando a mani quasi vuote il resto degli astanti in fila.
Io e l'Altro riflette esemplifica comprime superbamente questa supposizione.
Lavoro di concetto sull'astrazione dell'esserci, studio sulla scaturigine della sofferenza e della Patologia tradotte analogicamente/simultaneamente in raggiera sonora con una sapienza evocativa sbalorditiva.
Kafkiano, glacialmente lirico, cumulonemboso, denso di umori tetri e di organici collassi, una tesi di laurea ad honorem sul nemico interiore e insieme catalogo dell'afflizione, di certo la più convincente tra le sue opere, trasmette un'inquietudine claustrofobica ed un elevato senso di morte, disfatta e sprofondamento che non riscontravo e pativo più -fatte le debite proporzioni- dal decesso di Curtis, dal cui malessere Pedretti si è senz'altro fatto attraversare non senza voluttà.
Come tutti i lavori che non distinguono il Vuoto dall'Immenso, l'Eden dal mattatoio, la catastrofe dall'Estasi e come tutti i lavori che surrogano il suicidio o l'eccidio, anche quest'ultimo di Colloquio, intriso di sacrosanto solipsismo, non si preoccupa di dover piacere tramite fallaci scappatoie quali stile o tecnica, e soprattutto non presta mai il fianco ad ascolti accomodanti o disimpegnati. 
Non si può disinvoltamente assimilare il Sacrificio di Pedretti se non si è già lubrificati di spirito sacrificale/sacrificato e fascinazione per le macerie e per quanto di moribondo vi giace sepolto sotto.
Arduo operare esegetiche dissezioni dei singoli brani: la forza dell'operato di Pedretti è quella di (s)offrire Malinconia, Scoramento e Lutto negando però il falso ri(s)catto emotivo dell'esorcismo e della catarsi: suoni bui come un cielo notturno senza stelle, centripeti e commoventi nel senso più divorante del termine, Musica restituita alla Liturgia, atmosfere da corridoio manicomiale che devastano anima e psiche, risultati che nemmeno il più pomposo dark-gothic riesce a offrire.
Intonazioni del proprio canto funebre imprescindibili dal do-ut-des, cui non si può prestare ascolto tutti i giorni, allo stesso modo in cui non si può presenziare quotidianamente a un funerale. Più che un colloquio, una colliquazione. Un patalogo, più che un monologo. Un de(re)liquio, più che un soliloquio.
A mio avviso, una delle entità più ingiustamente e scandalosamente sottostimate d'Italia. 
Recuperate, gente, recuperate!


(1996)

venerdì 3 aprile 2009

COIL - Disastrolatria fonica

Ho sempre visceralmente adorato l'operato dei Sacerdoti del Sole Nero.
Non a caso scrivo 'visceralmente', considerato il come e il quanto sanno tradurre e traslitterare la Carne e il suo stabilimento di Malattie e Piaceri in lapilli, sedimenti e supernove musicistiche capaci di mescolare erotismo e malinconia, sensualità e disperazione, estasi e decadimento, che restituiscono la vertigine dell'Orgasmo e l'orgasmo della Vertigine, e tolgono la terra da sotto i piedi e i cieli da sopra la scatola cranica o di terra santa e di cieli franati ti tumulano. Ho sempre apprezzato la loro capacità di disilludersi sulla costante della coerenza formale, mai variabile come nel loro caso/caos, senza purtuttavia tradire rinnegare esautorare quella sostanziale.
Sempre stregato dal loro polimorfismo esasperato, dal loro devastarti i 5 sensi per dartene in cambio altri 55.
Non fanno eccezione alla mia smodata devozione le vacillanti costellazioni ipnagogiche di questo disastro astrale, morsa che scaraventa nelle viscere degli inferi con flemma e delicatezza, galassia di suoni che trapassano le carni come una radiazione. Ascoltarli ha del chemioterapico e dell'ultraterreno, del leucemico e dell'extraumano.
Riconosco la mia inettitudine recensoria e rivendico assoluta asimmetria con i parametri gli spazi i tempi i modi del giornalismo e della critica, che a mio avviso ha da essere arte e giammai mestiere. Penso che questo limite fondi la mia fortuna, sommamente in quest'occasione: i Coil possono essere rilanciati per impressioni sensoriali (imprimendo il senso, come da proprietà/principio filmico), non certo per fruste categorie della povertà di spirito recensorio o con annichilenti rimandi etichette analogie e imbarazzanti/ingombranti paragoni e parametri da aspirante gazzettiere.
Quando i brani son lavorati al fine di far scaturire liturgie, incantesimi ed effetti ipnoinducenti, e quando ciascuna traccia sonora è la messa in abisso di una messa in abisso, a che pro pretendere presuntuosamente di vivisezionarli con la miseria e le meschine pretestuosità del vocabolario?
Qualsiasi infiammato panegirico, il più sussiegoso degli entusiasmi, la più infoiata delle retoriche, il più sbracato e torrenziale spreco di superlativi assoluti sono cosa mediocre fragile ridicola, scarto di quel che intendo, approssimazione ed inadeguatezza, e stanno chilometri al di sotto dell'immane bellezza sacrale della loro "musica", la quale non si arena timidamente alla soglia uditiva o all'abilità linguistica di un recensore. Siete avvisati, e tutt'altro che mezzo salvati. La parola d'ordine, anzi, è smarrimento.
Distolti a fatica gli occhi dalla mirabile e mirabolante copertina ad opera di Steven Stapleton, ulteriore meraviglia che vi incenerirà le cornee, vi troverete davanti ad un opus impegnativo, che non prescinde dalla legge di compensazione: vi compenetrerà, a patto che vogliate/sappiate squartarvi.
Questo è il miglior maelstrom che possiate congiungere col cerume delle vostre orecchie, con la spugnosa gelatina della vostra materia grigia, con i ventricoli del vostro muscolo cardiaco, gli alveoli del vostro sistema respiratorio e la simpatia del vostro sistema nervoso... ins'omnia: uno dei migliori ciddì passatimi sul laser in questi ultimi tre lustri, e dovremo attenderne altri 3 o 4 per farci polverizzare dallo schianto con una meteora di simile portata, o che lo abbia ecceduto: ergo sappiatene approfittare prima che venga impietosamente inghiottito dall'implacabile buco nero del 'fuori catalogo', e permettetegli di piantare la banderuola di conquista sulla vetta del vostro cranio.
Se desiderate la Trance, l'Estasi, la Sinestesia, il Misticismo, il Delirio, lo Sprofondamento, l'Allucinazione e la caduta dal Tempo senza bisogno d'ingozzarvi di funghetti fino a scoppiare, e se siete profondamente persuasi che Musica e Caduta, suono e mistica e del corpo siano monomi equivalenti, la via passa obbligatoriamente per questi 72 minuti, che si vorrebbe non terminassero mai.
Ecco, se mai c'è un motivo per cui posso trovare seccante la morte è di non potere più farmi tenere in ostaggio (né sviluppare debite sindromi di Stoccolma) da simili epifanie e feste sonore.
Touché! Enchanté! Chapeau!
...Come si dice in questi casi? Acquisto obbligato? Incontro imperdibile? Un must? Miracolo? Capolavoro assoluto? Paradigma della Perfezione? Most highly recommended?
Fate un po' voi, ma annoveratelo senza meno nella vostra prossima lista della spesa.

Manolo Magnabosco

COIL: The darker the skies, the brighter the stars

Lasciamo immediatamente perdere scontati rimasticati abusatissimi inflazionati imperativi/esortativi quali "raccomandatissimo" o "imperdibile", che qui puzzerebbero d'eufemismo lontano continenti, spegniamo le luci e affidiamoci al buio.
Ma il buio dove accogliere queste lunari partiture è quello del nostro corpo. Il titolo è un monito di patti chiari: l'ascolto è esclusivamente riservato a quei sempre più rari che l'insondabilità del Buio la cavalcano senza timore d'esserne disarcionati, e che da essa si lasciano voluttuosamente inseminare invadere masticare metabolizzare somatizzare rivomitare. E non mi sto certo riferendo alla mediocrissima e pusillanime schiatta dei decerebrati pupattoli dark.
Che difatti faticheranno ad accondiscendere alle polisemie stilistiche di questo viaggio al termine di una notte ben lungi invero dall'essere prossima ad un'alba che ne sancisca la conclusione.

Nictomorfa e fuorviante (per gli ultimi arrivati, si capisce) è anzitutto la copertina, che scimmiotta beffardamente le soluzioni figurative dei corrieri cosmici tedeschi e degli alfieri del fluido rosa; ma i brani non si trascinano stancamente nelle interlocutorie lungaggini electro-progressive dei primi, e prendono distanze difficili da coprire dalla becera psichedelia caciarona e da bancarella dei secondi.

Sei le tracce, come sei sono le ore che separano la mezzanotte dal chiarore mattutino, non più conchiuse in lapidarie e scivolose gag frammentarie, né costrette nell'ortodossia della forma-canzone, bensì diluite in articolate e stratificate suite di circa 10 minuti l'una, dove i Coil raccolgono le tempeste dei venti seminati anzitempo nel notevole e sottovalutato Black Light District - A thousand lights in a darkened room e le rimodellano in perturbazioni emotive tanto inaspettatamente sobrie (poche e comunque trasversali le concessioni all'aggressione rumorista, all'inquietudine orrorifica e alla suggestione esoterica) quanto immancabilmente compatte robuste quadrate incisive perforanti.
Il proverbiale mood oscuro dei Coil si scompagina (e si dissimula) in un roppo[1] dove l'Alto è irraggiungibile e il Basso non conosce fondo, cucito da punti cardinali avulsi alla precisione delle bussole, dove a compiere il suo antiorario giro a vuoto è l'evocazione dello smarrimento interiore e della malinconia: ad aprire il ballo excelsior di queste due rette perpendicolari sempre sul punto di tendersi fino a spezzarsi o di cadere l'una sull'altra fino a divenire congruenti, è il ritmico minaccioso balbettio di Are you shivering? cullato da un'accattivante liquida scansione metronomica, quindi aggredito da svolazzi di cupa orchestralità, a sua volta avallata dalla meravigliosa voce di Balance che fa il verso a Presley chiedendoci "are you lonesome tonight?" e ammonendoci tra serio e faceto che questa è la voce della Luna.

Il testimone è quindi passato a Red birds will fly out of the East and destroy Paris in a night, che fin dal lungo titolo si confronta con i Tangerine Dream di Stratosfear, rivisitandone ed esasperandone stilemi ed atmosfere, tanto più che pare di sentire il gruppo tedesco ebbro di mescalina e sperduto nell'Ade.

I contrappunti pianistici jazzy sull'ondeggiante loop infero di Red Queen, che nell'intro a base di voci alterate dall'elio e dai delay omaggia i TG di Heathen earth, rivelano i Coil in una veste mai indossata prima, in quella che forse è la freccia meno appuntita ed avvelenata della faretra.

A far tornare sottopelle il gelo delle ore notturne è la triste cantilena di Broccoli, elegia per gli amici recentemente messi a dormire dall'aids e dal cancro (il broccolo è l'ortaggio che maggiormente rinforza le difese immunitarie e impedisce l'ossidazione delle cellule tumorali), cui fanno coro gli irrequieti e inquietanti schiamazzi degli Strange birds che occupano la quinta traccia.

Ma lo zucchero è raggrumato/calcificato nel fondo: la struggente, trasognata e pacata The Dreamer is still asleep ci sussurra che la notte è ancora di là dall'essersi conclusa e che il giorno e la veglia riservano tenebre peggiori.
Il Sognatore è ancora succube di M'Orfeo, Musick to play in the dark 2 ne prolungherà la fase REM, e il sottoscritto deve ancora stanare un lavoro dei Coil di cui poterne dire male (...unica tirata d'orecchie al presente per l'assenza di un booklet interno comprensivo di testi e note): Musick to play in the dark sta senz'altro qualche gradino al di sotto di ineguagliabili classici come Horse Rotorvator, ma la scalinata -comunque la si voglia percorrere- è sempre quella che conduce verso il Sublime

[1] termine buddista che compendia le 6 principali direzioni: l'Alto, il Basso e i punti cardinali. Roppo è anche il nome dato ad un istituto di Hiroshima che ospitava i bimbi affetti da turbe psichiche derivate dallo choc dell'esplosione atomica del 6/08/'45

Manolo Magnabosco