domenica 15 gennaio 2012

TETSUO - THE BULLET MAN


di Shinya Tsukamoto

Tetsuo America era stato annunciato nel 1995: forse allora il buon Tsuka l'avrebbe diversamente realizzato, ma ancora oggi il suo è un cinema senza freni né filtri, profondamente carnale, dirompente, eccessivo, tellurico, che attacca corticalmente, stravolge i sensi e i nervi ed è carnevale di rio per gli occhi. Un ordigno visivo al neutrone da plurimo attacco di panico, un bad trip di Stelarc, una primizia da far resuscitare e diventare priapico Melies e da far impallidire la buonanima di Leary, un caterpillar sensoriale che fa starnutire il cervello e rende un'arpa di diapason impazziti i nervi. Passano i lustri, Tetsuo goes to Hollywood, ma per Tsuka fare cinema equivale sempre alla preparazione di un'arma nucleare da 1000 teratoni.
I detrattori borbotteranno stizziti di spinta espositiva, di cedimento alla linearità, di Shinya minore, rammollito e marchettaro o di broda riscaldata.
Ciance: siamo all'oltre, con la O babelica.

Non ha del resto senso sentirsi traditi o vedere in Tsukamoto un venduto o aspettarsi una copia-carbone del primo. Sono passati 30 anni, e di mezzo è cambiato tutto: è cambiato il mondo, culturale sottoculturale e controculturale, sono cambiati gli approcci che al mondo si hanno, è cambiato il cinema, il modo di farlo, intenderlo, volerlo, fruirlo, e con esso è cambiato Tsukamoto che ha nel frattempo attraversato polimorficamente hybris distantissime tra loro ma sempre rispettando il suo rapporto morboso con la figura. Tetsuo occidentalizzato? Orbite da revenge-movie? Parvenza di happy end? Appiglio narrativo razionale? E con ciò?
Tsukamoto ha dimostrato, per l'ennesima volta, che si cambia solo per restare uguali e che
siamo ancora davanti a un cinema che eccede la forma, e per conseguenza il contenuto.
...Culo alla finestra? Guardia abbassata? Fiacca contenutistica/stilistica?
Basti farsi passare da parte a parte dalla scena dell'archivio per domandarsi come si può ritienere anche solo per scherzo stanco un cineasta come Tsukamoto, che in termini di radioattività non ha sicuramente perso un Rad.


voto? 3,14 per 3,14

TOKYO GORE POLICE


di Yoshihiro Nishimura



Follia elevata a costellazione e apologia dell'iperbole in questo genialoide delirio supersplatter che fa del survoltare un diktat e che compendia e coniuga tentazioni cronemberghiane di nova carnalia con lo scalmanato trascendere degno del più smisurato Miike, i riverberi del primo Tsuka e del Verhoeven fantascientifico (robocop e starship troopers gli spiriti guida) , ammiccamenti a The suicide club e linguaggio/fantasia del cartoon e del fumetto. Il tutto con uno spregiudicato senso della visionarietà che avrebbe fatto defluire il sangue a Dalì e Bosch, e lungi dal prendersi sul serio mortalmente sul serio (come fece un matrix, per intendersi) e anzi rastrellando rifiltrando e rimasticando in maniera consapevolmente baracconesca, caciarona, fracassona anarcoide ed epidermica eredità d'oriente come d'occidente: ne viene fuori un amalgama spassosissimo, strabiliante per chi certo cinema non lo conosce come le proprie tasche, di ampia godibilità per chi lo conosce bene, probabilmente irritante per chi lo conosce fin troppo.


Un imperdibile giocattolone post-postmoderno di quasi due ore fantasmagoriche e deliranti come pochissime a base di 1000 e una follia al minuto, urlate al megafono in tutto, nella lisergica fotografia ultrapop come nell'allucinato e demenziale umorismo nero.
Sirene-coccodrillo, bazooka spara-pugni, emorragie-geyser che fanno diventare razzi propulsori i moncherini e volanti i corpi, peni lanciarazzi, donne-sedia e miriadi d'altre inimmaginabili situazioni/soluzioni figurative. Questo sì che è un regista che, aggiustando un po' il tiro tecnicistico e stilistico, potrebbe permettersi di avere a che fare con l'immaginario di Barker, mica le pizzette noci e fichi di quel fetente di Kitammuort.

I più impenitenti otaku si preparino a fare 10 ole al minuto.