di
Paolo Sorrentino
Il sorrentiniano Enter the void in un'amara vita post-felliniana post-esistenzialista post-postmoderna post-mortem e post-tutto, annegata e abnegata in una Roma che fa la stupida e la stronzetta tutte le sere (ma anche le mattine e i pomeriggi non scherzano), più triste di una bestia randagia dopo il coito del boom 60's.
Laddove titaneggia il nulla, non rimane che lo stile, per (fingere di) maiuscolare il vuoto, e in ciò Paolo Paolo Pa Paolo Maledetto non si fa mancare niente: usa (l'immancabile) Celine come apripista per un viaggio senza termine della notte, coreografa festini (e destini) come fossero totentanz, rende aristocratico ogni movimento di macchina, solenne ogni primo piano, lapidaria ogni riga di sceneggiatura, dirige come se ogni secondo dovesse far sprofondare il mondo, osserva i suoi personaggi telescopicamente come fossero stelle morte e al tempo stesso pianeti mai avvistati prima da occhio astronomico alcuno (un peccato che non abbia reso ancor più tragico sfaccetatto approfondito Verdone, circoscritto invece per l'ennesima volta alla macchietta che è sempre stato - ma quando accarezza registri davvero drammatici si nota il felice scarto che avremmo avuto se usato diversamente fino in fondo: potremmo dire altrettanto per il personaggio della Ferilli nei confronti della quale avrebbe potuto compiere una maggiore opera di demolizione metalinguistica, ma anziché farli davvero uscire dal guscio e dalla riconoscibilità, rendendoli alieni e rinati, si accontenta di rilanciarli uguali a se stessi. Ma in fondo è un'opera in cui il nulla la fa da mattatore, ed è giusto che li abbia lasciati in quel poco e nulla a cui sono sempre appartenuti. per cui pazienza, va benissimo anche così), mentre un Servillo sublime ai limiti dell'ineffabile svuota e riempie la scena a piacimento, masticando le più aspre e indigeste sentenze come fossero big-babol con cui fare enormi bolle di ferocia rosata, e trasudando charisma anche quando sta immobile e silente.
Il tutto affrancandosi dal peggior Tornatore che gli rimase appicicato addosso con This must be the place (ci ricade un po' a onor del vero nel finale tanto stucchevole quanto consapevole di esserlo).
Laddove titaneggia il nulla, non rimane che lo stile, per (fingere di) maiuscolare il vuoto, e in ciò Paolo Paolo Pa Paolo Maledetto non si fa mancare niente: usa (l'immancabile) Celine come apripista per un viaggio senza termine della notte, coreografa festini (e destini) come fossero totentanz, rende aristocratico ogni movimento di macchina, solenne ogni primo piano, lapidaria ogni riga di sceneggiatura, dirige come se ogni secondo dovesse far sprofondare il mondo, osserva i suoi personaggi telescopicamente come fossero stelle morte e al tempo stesso pianeti mai avvistati prima da occhio astronomico alcuno (un peccato che non abbia reso ancor più tragico sfaccetatto approfondito Verdone, circoscritto invece per l'ennesima volta alla macchietta che è sempre stato - ma quando accarezza registri davvero drammatici si nota il felice scarto che avremmo avuto se usato diversamente fino in fondo: potremmo dire altrettanto per il personaggio della Ferilli nei confronti della quale avrebbe potuto compiere una maggiore opera di demolizione metalinguistica, ma anziché farli davvero uscire dal guscio e dalla riconoscibilità, rendendoli alieni e rinati, si accontenta di rilanciarli uguali a se stessi. Ma in fondo è un'opera in cui il nulla la fa da mattatore, ed è giusto che li abbia lasciati in quel poco e nulla a cui sono sempre appartenuti. per cui pazienza, va benissimo anche così), mentre un Servillo sublime ai limiti dell'ineffabile svuota e riempie la scena a piacimento, masticando le più aspre e indigeste sentenze come fossero big-babol con cui fare enormi bolle di ferocia rosata, e trasudando charisma anche quando sta immobile e silente.
Il tutto affrancandosi dal peggior Tornatore che gli rimase appicicato addosso con This must be the place (ci ricade un po' a onor del vero nel finale tanto stucchevole quanto consapevole di esserlo).
Può piacere o no, lasciare disgustati o euforici, estenuati o estasiati o tutto questo assieme, ma a Sorrentino cimentarsi nel rodeo col Vuoto riesce dannatamente bene.
La grande bellezza è quella che non è ancora arrivata, che non arriverà mai, che vince giocando a nascondino, un simulacro della quale resta in dispettosa differita.
Il perfetto film di un regista imperfetto, l'imperfetto film di un regista perfetto, fate voi ma immergetevici quanto prima.
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