domenica 22 gennaio 2012

PER SPECULUM IN AENIGMATE - CONVERSAZIONE CON ROMEO CASTELLUCCI

terzo grado a cura di Manolo Magnabosco



Manolo Magnabosco - Credo che sia anzitutto il caso di soffermarsi sul nome che questo corpo teatrale porta: Sul concetto di volto nel figlio di Dio". Tutti si son concentrati sul 'volto', mentre se c'è un'analogia tra il volto del Da Messina e la scena, questa sta proprio nella filialità. E nell'abbandono da parte del padre.

Romeo Castellucci - Già nel titolo si mostra la simmetria-asimmetrica tipicamente biblica del modello di tutti i rapporti: un padre e un figlio. Dio e Gesù, rappresentati nel titolo e sul piano verticale dal ritratto di Antonello, e un figlio con il proprio padre, rappresentati da quello orizzontale del salotto borghese.

Un piano sequenza di 45 minuti: un padre e un figlio. La memoria corre ad Abramo, il padre chiamato a sacrificare il figlio. Oppure, in questo caso, il figlio che si lascia finalmente sacrificare dal padre. Un piano sequenza in tempo reale. Il tempo si srotola come quello naturale, relativo all'azione e alla esperienza dello spettatore, perché in definitiva è una esperienza che appartiene solo a lui. L'azione si stende nel nastro temporale come un semplice fatto perché non è ancora un dramma. Questa azione non entrerà mai nella Storia: è routine.

E' questa la dimensione tragica dell'azione: il silenzio e la banalità che la avvolge. Non ci sono alture qui, non c'è la vetta del monte Mòria di Abramo, ma solo un televisore al plasma, un tavolo di vetro e un divano, blister medicinali.

MM - Preme anche porre l'accento su un cardinale punto di fuga del lavoro, sul quale forse non ci si è soffermati abbastanza: a un dato momento Scarlatella va sotto le labbra del Cristo, baciandolo e al contempo formando prospetticamente un ideale dito indice (il dito di Dio?) che sigilla le labbra e invita al silenzio

RC - E' una giustissima lettura alla quale non avevo pensato. Io avevo notato che solo in questo momento ci si rende conto della differenza di scala tra una persona reale e la gigantografia del Volto come a voler ristabilire un senso di proporzioni e di grandezza.

Il Volto è un fondale e come tale risiede e "riposa" in fondo alla scena, imprimendo una spinta invisibile, ma fattuale, all’azione. Così grande è una presenza che non è possibile relativizzare e "ridurre" a scenografia. Funziona come un’autentica presenza. Lo sguardo del Salvator Mundi fissa dritto negli occhi ciascun spettatore. Non è possibile, in un certo senso, sfuggirgli.

L'idea che hai avuto del silenzio è molto bella. Anche perché in questo momento avviene una cesura nello spettacolo. Tutto diviene astratto, sincronico, sublimato in pochi colpi di azioni. Tutto precipita e tutto si trasforma, uno, due, tre volte, fino alla consegna finale aniconica di un doppio spazio spoglio. Vuoto. Vuoto come il sepolcro. Il pavimento bianco appare senza mobili e tracciato dai segni del colore lasciato dal cammino del padre durante la scena (come si trattasse dei primi passi dell’uomo sulla luna) che possono ricordare anche un quadro di Pollock.

MM -Torniamo un attimo indietro. Tutta la prima parte del lavoro, la dissenteria incontenibile del padre anziano, risuona come una compassionevole traduzione del Mene Tekel Peres del profeta Daniele: un aspetto che continua a essere ciecamente costretto e trivializzato in un'ottica nichilista e unidirezionalmente scatologica, che invece il tuo teatro ha sempre aborrito e scongiurato...

RC - La frase contenuta nel Libro di Daniele è centrale in tutto il mio lavoro. Rappresenta moltissimo per me. In questo caso potrebbe voler significare la "riduzione" dell'uomo a contenitore che si svuota sempre di più fino alla morte. In un certo senso questa frase rappresenta il compendio del destino dei viventi: ricordati quello che sei: tu sei questo. Sei carne. Sei putredine. Sei verme. Sei massa.

Qui non scorre il sangue dal capro che prende il posto di Isacco, perché il sangue della vittima è sostituito dalle feci della dissenteria di un vecchio uomo. Le feci dell'uomo. Il Libro di Qoelet ci ricorda che siamo nati mescolati alle feci di nostra madre e che qui ritorneremo. Le feci sono evidentemente una metafora della realtà. Sono la Cosa. La cosa, alla fine dello spettacolo diviene, per quantità, totalmente incredibile, nel senso che non crediamo più che si tratti di escrementi - è mostrato l'artificio attraverso il quale le feci sono rappresentate: un contenitore di plastica che il genitore si versa addosso, facendo collassare d'improvviso la finzione. Ma ecco le prime ambivalenze: le feci sono anche l'oblazione assoluta del bambino nei confronti della madre. Appena il bambino ha l'intuizione del mondo produce consapevolmente qualcosa di suo. Per un momento della nostra esistenza le feci hanno rappresentato il dono unico, il distillato della nostra stessa vita da consegnare come oblazione all'essere divino che stava davanti a noi e dal quale dipendevamo: la madre.

Era tutto quello che avevamo e lo abbiamo donato. Che strano ora che un vecchio uomo alla fine dei suoi giorni ripercorra quegli stessi gesti. Questo vecchio padre che li consegna al figlio il quale, sopraffatto, a sua volta si rivolge al Figlio del Padre.

Tieni padre, è tutto quello che ho. E’ tutto quello che sono. Sono la tua creatura. Amami.

MM - Hai altrove affermato che una delle molteplici chiavi interpretative della prima parte è il destino dei figli di ripulire la merda dei padri. Paradossalmente e per ironia della sorte chi ti sta attaccando in questi giorni trova deleterio e irrispettoso un messaggio che appartiene allo stesso Ecclesiaste (le colpe dei padri ricadranno sui figli)...

RC - C'è anche questa lettura "politica", certamente. C'è una superficialità che impressiona nell'uso delle Scritture che spessissimo sono utilizzate a mo’ di maglio, per colpire, per giudicare. Io posso avere commesso degli errori, certo; sono un sedicente artista ( anche se odio questa parola) e in quanto tale compio errori. In certi casi programmaticamente. Ma perché questo odio nei miei confronti? Ammettiamo per assurdo che io abbia voluto irridere il Cristo… ma perché odiarmi? Che senso ha? Se io avessi veramente bestemmiato perché non abbracciarmi ancora di più e scrivermi messaggi di amore? Perché vedono nemici da tutte le parti? E perché vogliono difendere Gesù (da che cosa poi? dal mio amore?)? Non sanno che Gesù usò l'espressione "vade retro Satana" proprio nei confronti di Pietro? …e sapete cosa voleva fare Pietro in quel momento? Voleva dare la sua vita per difendere Gesù. Come può un uomo difendere Gesù? Questa sì mi sembra, più che una bestemmia, un terribile atto di orgoglio che vuole sostituirsi alla misericordia divina.

MM - Senza contare che a scongiurare la bestemmia c'è la mescita di inchiostro, che è una letterale emorragia delle Sacre Scritture. Ed è anche un sudario sul volto. Un sudario biblico, suggellato e sigillato da Tu sei il mio pastore. Il not sembra quasi volerne anticipare il seguito: io non vorrò...E' un'impressione esatta?

RC - Le impressioni sono sempre esatte (ma uno deve dichiarare che sono le sue…per assurdo potresti dire che per te quelle sono feci, perché quello in quel momento ti appartiene, è tuo…). L’inchiostro nero è certamente il sudario dietro il quale sparisce il corpo. Un velo nero che scende sugli occhi. L’attimo stesso della morte che Gesù ha fattualmente provato. È rimasto cadavere per ben tre giorni. Tre giorni. E poi ha lasciato una stanza vuota. Ecco, questo vuoto è la chiave di tutto. La chiave di volta che spazza via l’immagine del mondo e l’immagine di Gesù stesso.

Bisognerebbe tornare a parlare di blasfemia. Il simbolo dei cristiani cattolici è infatti una bestemmia: la croce: uno strumento romano inventato per abbruttire e irridere le vittime. Ora è un simbolo, lo portano nelle piazze. La corona di spine che è stata posta sul capo di Gesù a sollazzo dei soldati romani che lo chiamavano re e gli sputavano in faccia. Anche quella era una bestemmia e adesso è divenuta un simbolo sacro. Gesù, ci ricordiamo perché era stato condannato? Perché era un bestemmiatore. Si può andare avanti così. Non parliamo delle bestemmie storiche per le quali scienziati hanno pagato con la vita. E quelle, sante (Dostoevskij su tutti) contenute nelle opere d’arte di tutti i tempi. L’elenco è immenso. Perciò quando sento la Chiesa scomunicare qualcuno per blasfemia mi viene da piangere, perché proprio loro consegnano il loro Cristo mediatico-consolatorio e bidimensionale nella desolazione delle comunicazioni, in mezzo ai varietà televisivi. Dov’è il sacro rispetto di quel Volto? Dov’è la lotta con quel Volto? Troppo facile per me, ora, parlare della pagliuzza.

MM - L'inchiostro e le lacerazioni che trasfigurano il volto a un certo punto rendono quasi baconiano il dipinto. Quindi lungi dall'irriderlo e annichilirlo, se ne raddoppia la valenza estetica, la disperazione, l'aspetto parabasico...

RC - La lacerazione e l’inchiostro nero rappresentano certo un corpo a corpo con quel Volto, come la meravigliosa immagine della scena muta, notturna e per certi aspetti assurda della lotta di Abramo con l’angelo. Qualcosa si lacera, si strappa: ma attenzione: chi o cosa si strappa? È la tela o siamo piuttosto noi a lacerarci in questo momento? Come se non ne potessimo più, in un autentico gesto catartico ci “liberiamo” di quello sguardo, lo strappiamo letteralmente via perché ci ha davvero visto. Troppo intimo, troppo vicino a me, troppo me, troppo specchio. Dietro il telo c’è una scritta scavata nel nero del legno e che si esprime attraverso la luce bianca. You are my shepherd. You are not my shepherd. You are my shepherd. E poi il volto ritorna. E poi scompare ancora. E poi solo il suono di uccellini che volano in una finestra.

MM - Parimenti, la sassaiola di granate lanciata dai bambini crea un duplice sfondamento di senso: da una parte il "Lasciate che i bambini vengano a me", dall'altra il "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". E' una convergenza, una sinusoide tra due forme e forze di purezza...

RC - La domanda mi sembra già una risposta. Per un effetto di luce le finte granate (sono di alluminio: sono state dette una marea di cazzate al riguardo...) mentre volano verso il ritratto danno l'impressione di essere lacrime che cadono dal e sul ritratto. Il significato profondo di questo gesto è da rintracciare nella tradizione evangelica dei gesti della passione. Si tratta evidentemente di una forma di preghiera diciamo antifrastica, come ce ne sono nella Bibbia, rovesciata di segno e che passa attraverso l’innocenza del gesto di un bambino (le armi sono evidentemente giocattoli e il gesto quello del gioco) che percuote quel volto proprio per risvegliarlo e riscattarlo in una forma di nuova e necessaria seconda passione; in un nuovo dialogo con l’assenza di quel Volto, richiamato dagli stessi gesti che lo consegnarono alla croce.

Come dice il salmo 88: Dio, non nascondermi il tuo Volto. L’idea delle bombe a mano giocattolo mi è arrivata da una famosissima, splendida fotografia di Diane Arbus, Child With Toy Hand Grenade In Central Park, 1962 - nella quale si vede un ragazzino esilissimo stringere una granata con un’espressione contratta di ironico furore. È una potente immagine sull’impotenza. Troppo fragile, quel ragazzo, per sostenere anche solo quel gesto e quel giocattolo, la dove è la mano vuota a esprimere la vacuità del furore innocente. La foto della Arbus per me rappresenta un’icona contemporanea della fame spirituale di questa epoca. Allora i riferimenti sono da una parte Antonello e dall’altra la Arbus.

MM - Le più oltranziste fazioni clericali si stanno puerilmente e pretestuosamente aggrappando a tue remote dichiarazioni su Lucifero enunciate ai tempi di Genesi from the museum of sleep. Il tuo proclama "L'Angelo dell'Arte è Lucifero" sta fomentando anche surreali accuse di satanismo. Vogliamo approfondire il costrutto per i sedicenti addetti ai lavori?

RC - Quanta acribia nel certificare le loro condanne. Quanta tristezza. Lucifero, certo. E allora? L’angelo più bello che ama Dio come un amante e come un amante è geloso della creatura, di Adamo, e per questo viene precipitato. Lucifero voleva l’amore di Dio tutto per sé. Lucifero-Prometeo. Come lui è, seguendo l’etimo, portatore di luce. Lucifero è l’angelo dell’arte perché l’arte nasce dalla tragedia dell’abbandono e del distacco. L’arte trova il suo fondamento nel negativo, nella mancanza, nella vacuità di ogni risposta di fronte alla domanda. La condanna dell’arte è quella di non poter dare risposte ma formulare sempre e solo domande. Lucifero è colui che piange ogni minuto di ogni giorno per aver perso Dio. Lucifero che piange ogni istante per la nostalgia che lo brucia. Lucifero, certo. E allora? Lucifero che è costretto a cercare un sembiante per trovare dimora tra gli uomini e con questa cercare di avvicinarsi, di nascosto, di nuovo a Dio. Lucifero che nell’apocatastasi (la ricapitolazione e il ristabilimento dello stato originale, pensato dai Padri del Deserto) che sarà abbracciato e riscattato di nuovo dall’ infinita misericordia di Dio.

Io parlo di Lucifero, non di Satana. Satana, quello, è un loro bisogno storico, una loro impellente necessità. Non il mio. Come farebbe questa gente senza il povero Satana? E se Lucifero è per me una figura malinconica cosa significa? Che sono satanico? Ma per favore, smettiamola con queste argomentazioni puerili. Cosa vogliono fare? Scomunicarmi? E allora? Dimostrare che avevano ragione loro? E allora? Cosa mi importa? Mi vogliono fare paura o mettere pressione? Vogliono pregare per me? No, vi prego, non pregate per me, questo soprattutto no. Non mi piacciono le vostre preghiere, i vostri piagnistei...

Si rassegnino. L’artista regna supremo perché il suo regno è sottile.

MM - Quel che è indicativo oltreché molto triste è che queste frange hanno paura di riconoscere che una rappresentazione sa essere più sacra e spirituale di una messa, che anzi rappresentazione e messa si equivalgono; che il palco può essere, è, un altare, che arte e sacro sono due sfere spesso inscindibili, che la pietas su cui poggia tutto il tuo lavoro batte quella, tutta ipocrita e orizzontale, dei separatisti che venerano infatti un Dio a loro immagine e somiglianza: forcaiolo, punitivo, censorio. Un simulacro in nome del quale si decide chi può vedere pensare dire cosa, si scatenano guerre sante...

RC - Quando leggo il Vangelo io vedo la forza operante dell’amore. Non aggiungo altro.

MM - Dagli attacchi fatti si evince anche che ormai non si sta più difendendo Dio o Gesù, e nemmeno madre ecclesia, nemmeno un principio, ma solo ed esclusivamente la propria ottusa irriducibilità a esso, o peggio si sta sostenendo un ben preciso schema politico.

RC - Non volevo dirlo ma è la mia stessa impressione. Oramai il mio spettacolo –-che nessuno di loro ha visto - è solo un pretesto per scatenare gazzarre isteriche allo scopo di difendere delle prese di posizioni fini a sé stesse. Per vincere la partita più sterile che si può immaginare.

Niente. La chiesa è sistematicamente incapace di pensare l’arte. Non ce la possono fare. Il novecento pare non essere mai esistito per loro. Si registra un’ idiosincrasia pressoché definitiva tra arte e religione. Pazienza. Vorrà dire che ci penseranno le gallerie d’arte ad occuparsene.

MM - Che tutto questo stia accadendo in Italia non riesce a stupirmi, mentre mi dà da tremare che abbia avuto scaturigine proprio nella patria di Artaud. Sintomo di una svendita della propria progenitura culturale per un piatto di lenticchie...

RC - I gruppi francesi sono l’equivalente dei nostri forza nuova, casa pound, militia christi, tradizionalisti dai lugubri nomi in latino, etc..etc.. In Francia era tutto un gioco politico della destra estrema interna alla destra. Hanno creato la allucinante menzogna delle feci contro il Cristo come puro pretesto per giustificare al mondo la loro azione. Per dimostrare che esistevano e per lanciare messaggi alla destra più moderata e laica. Questa menzogna è stata anche il boccone avvelenato che hanno distribuito qui, in Italia. Tutto si è creato dal nulla, da un giorno all’altro, sui blog. Ti rammento che lo spettacolo ha due anni di vita ed è stato rappresentato in quasi tutte le capitali europee e nessuno ha mai parlato di blasfemia. Esiste una rassegna stampa immensa come si può immaginare: nessuno parla di oltraggio. Ho ricevuto lettere di persone che hanno trovato la fede dopo aver visto lo spettacolo. Teologi ne hanno scritto e giornali cattolici ne hanno parlato come di un lavoro profondamente spirituale, E allora? Perché solo dopo Parigi appare questo problema? La risposta è ovvia. Corrisponde a un progetto, a un preciso scopo politico. D’altra parte queste persone, qui come in Francia, sono convinto che godano all’idea che si stia bestemmiando. Ne hanno un bisogno vitale perché li fa sentire vivi.

La Francia però ha reagito con fermezza. Le più alte cariche dello Stato e della città erano fisicamente, sul palco, al nostro fianco: il Ministro della Cultura, il Sindaco di Parigi, l’Arcivescovo. E tutta la comunità artistica dell’intero Paese.

giovedì 19 gennaio 2012

I SAW THE DEVIL


di Kim Jee-Woon




di Kim Jee Woon

Tesi: due nemici sono lo stesso uomo dimezzato. Ma anche: il poliziotto è solo un serial killer col distintivo. E pe
r giunta: non lanciare sguardi di sfida a un abisso capace di sostenerli. Certo, assiomi propulsori vecchiotti, ma mai l'accento era stato calcato così. Il tutto al servizio di una freschezza rappresentativa che fa volar via 144' senza che tu possa accorgertene, e con almeno due pinnacoli di cinema strabilianti: la carrellata circolare in auto e l'iniziale ritrovamento di massa del cadavere della fidanzata dell'ingovernabile Callahan dagli occhi mandorlati. E c'è la prestazione di Chon "Old boy" Min Sik, che da sola vale tutto il viaggio.


Ipotesi: giravolte estetiche, elogi del tecnicismo, amor di preziosismo, parossismo di atrocità e sevizie esuberate e al contempo ingentilite da sua maestà La Forma senza mai dimenticare di raccontare una storia, e di farlo con maestria; revenge sovvertito ed ecceduto dal più spinto parossismo e(ste)tico e dall'ansia di voler dire/essere l'ultima parola in materia di occhio per occhio al di là del bene e del male. Tenue de soirée per Mr, Vendetta.

Sintesi: ISTD = Capolavoro.

QUALIS PONTIFEX PEREO? - UNA LETTERA SOCCHIUSA A RC


Caro Romeo,

l'ottusità che determina questi vessilliferi dell'onfaloscopico fanatismo, avallata da poteri altrettanto ciechi e non da Potenze, ci sopravanza. Per contrastarla occorrerebbero una stupidità e una volgarità che -chissà quanto purtroppo e quanto fortunatamente- non ci sono congenite.
Quel che mi demoralizza e scandalizza dell'attacco che ti è stato fatto non è la sua natura pastorale (che viene anzi meno, non essendoci mai stato un confronto dialettico), quanto il modo acritico e aprioristico in cui viene mosso, senza un minimo di ratio e di cognizione di causa, senza cioé avere avuto l'umiltà di vedere e valutare l'oggetto dello scandalo (ma basterebbe il titolo a scagionarlo da ogni sospetto/equivoco di provocazione) e senza nemmeno aver prima udito in prima persona la tua campana, basandosi più su frammenti di ciò che credono di sapere e non su quel che hanno oculatamente analizzato. Nessun ingenuo stupore, difatti tutte le religioni sono, come anche altre convenzioni laiche, basate sui frammenti elevati ad intero (sarebbe più interessante il contrario) e quando da qualche parte parli dei "disperati", una volta che togli loro anche la disperazione o gliela denudi, non hanno altra risorsa che attaccarti come animali, proprio perché non sanno cosa sia l'Assenza (se lo sapessero, non sarebbero poliziotti del dover credere)
Quello che insomma mi lascia indeciso tra il riso e lo spavento (ma sarebbe meglio, forse, avere paura), è che sembra di essere balzati indietro di 30-40 anni. Anzi nemmeno, perché persino un moloch di scarsa lungimiranza culturale e miopia intellettiva come il democristianoide centro cattolico cinematografico si prendeva la briga di spippolarsi tutti i film prima di gridare al rogo. Tutti, compresi i porno (e qui si potrebbe aprire una parentesi ridanciana che chiudo subito), del resto la pornografia non è che un concetto cattolico.

Forse hanno proprio timore di vedersi smentiti da quella stessa arte e da quella stessa sacralità che per secoli hanno strumentalizzato, minimizzato e trivializzato a proprio favore (Certo, vai a dir loro che il teatro è un oggetto sacro o un luogo di culto...[scherzo, ma restando serio]).

Di fatto, occorre un sacco di ignoranza, di malafede o di involontario senso della patafisica per dare proprio a uno ierofante della pietas come te del blasfemo o, più comicamente ancora, del cristianofobo; ed è chiaro che non c'è, non ci sarà mai confronto. La lotta è impari, la vittoria e la sconfitta pertengono ahinoi ad ambo le parti su piani semantici rovesciati. Non ci sarà mai un dialogo, tutt'al più due monologhi.
Che questo sia accaduto in italia non mi lascia sorpreso. Che invece abbia avuto inizio in Francia, mi dà da tremare: sintomo di una svendita della propria progenitura culturale per un piatto di lenticchie.

Ad ogni buon conto, l'aporia che va radicalizzandosi è assolutamente perfetta: senza fanatici non esisterebbe storia dell'arte. Uomini come quelli che ti hanno attaccato allontanano potenziali credenti da Dio, tu sei riuscito a trasformarmi da agnostico a mistico.


un abbraccio, a prescindere e a trascendere
a prima o poi,
Manolo Magnabosco
il 12/01/2012

SPETAKOLO CAOTICO PURULENTO E PIO


Questo spettacolo nasce dalla considerazione dell’odierna ed estrema solitudine del Volto di Gesù.

Questo spettacolo vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4° comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, della sua incontinenza, del suo crollo fisico e morale. Crede, senza conoscerlo, in questo comandamento. Fino in fondo. Fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere. La kenosis troppo umana di fronte a quella divina.

Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Gli escrementi rappresentano la realtà ultima della creatura, ma anche il vocabolario quotidiano del linguaggio d’amore che il figlio porta al proprio padre.

Questo spettacolo mostra sullo sfondo il grande volto del Salvator Mundi dipinto da Antonello da Messina. Tutto lo svolgimento della scena non è che un piano-sequenza molto semplice che descrive tutti i tentativi del figlio di pulire e ridare dignità al vecchio genitore. Invano. Gesù, il Salvator Mundi, è il testimone muto del fallimento del figlio.

Questo spettacolo ha scelto proprio il dipinto di Antonello a causa dello sguardo che il pittore ha saputo imprimere all’espressione ineffabile del volto di Gesù. Questo sguardo è in grado di guardare direttamente negli occhi ciascuno spettatore. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Questa economia dello sguardo obbliga, perché interroga, la coscienza di ciascuno spettatore come spettatore. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Questo ritratto di Antonello cessa di essere un dipinto per farsi specchio.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche lo rendono possibile, vede l’ingresso di un gruppo di bambini. Entrano in scena con le loro cartelle di scuola che svuotano presto del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno a uno cominciano a lanciare queste bombe sul ritratto.

E’ un crescendo. Ad ogni colpo corrisponde un frastuono. Nel climax delle deflagrazioni, imitanti degli autentici colpi di cannone, nasce dapprima una voce che sussurra il nome di Gesù, poi si moltiplicano fino a diventare tante e tutte ripetono quel nome. Poi, sul finire dell’azione e come fosse il prodotto di quei colpi, nasce un canto: il “ Gloria Patri – Omnis Una “ di Sisak. I colpi delle bombe diventano la musica del suo nome. In questa scena non ci sono adulti.

Ci sono innocenti contro un innocente. La violenza rimane nel gesto adulto mentre l’intenzione è quella del bambino che vuole l’attenzione del genitore distratto. Il bambino ha fame, come si dice nel salmo 88: Dio non nascondermi il tuo Volto.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche di ciascuna sala teatrale lo rendono possibile, prevede in un momento l’uso dell’odore di ammoniaca. L’ammoniaca, come si sa, è l’ultima trasformazione possibile, l’ultima fattuale transustanziazione dell’uomo, l’ultima esalazione del corpo umano nella morte: le spoglie dell’uomo si trasformano in gas, in aureola. Il “profumo” dell’uomo. Il suo saluto alla terra.

Questo spettacolo – come tutto il Teatro Occidentale che trova fondamento nella problematica bellezza della Tragedia greca – obbedisce alle sue stesse regole retoriche: è antifrastico, utilizza cioè l’elemento estraneo e violento per veicolare il significato contrario. La violenza qui significa, omeopaticamente, la ricerca e il bisogno di contatto umano; così come allo stesso modo un bacio può significare tradimento. La lezione della Tragedia attica consiste in questo: fare un passo indietro: rendersi disumani per potere meglio comprendere l’umana fragilità.

Questo spettacolo nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture. Il libro dell’Ecclesiaste, la Teodicea del Libro di Giobbe, il salmo 22, il salmo 23, i Vangeli. Il libro della Tragedia appoggiato su quello della Bibbia.

Questo spettacolo mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero che emana – achiropita, non per mano d’uomo – dal ritratto del Cristo. Tutto l’inchiostro delle sacre scritture qui pare sciogliersi di colpo, rivelando un’ icona ulteriore: quella che scavalca ogni immagine e che ci consegna un luogo vuoto.

Questo spettacolo mostra la tela del dipinto che viene lacerata come una membrana, come un sideramento dell’immagine. Un campo vuoto e nero in cui campeggia luminosa una scritta di luce, scavata nelle tavole del supporto del ritratto: Tu sei il mio pastore. E’ la celebre frase del salmo 23 di Davide. La scrittura della Bibbia ha perso il suo inchiostro per essere espressa in forma luminosa. Ma ecco che quando si accendono le luci in sala si può intravedere un’altra piccola parola che si insinua tra le altre, dipinta in grigio e quasi inintelligibile: un non, in modo tale che l’intera frase si possa leggere nel seguente modo: Tu non sei il mio pastore.

La frase di Davide si trasforma così per un attimo nel dubbio. Tu sei o non sei il mio Pastore?

Il dubbio di Gesù sulla croce Dio perché mi hai abbandonato? espresso dalle parole stesse del salmo 22 del Re Davide. Questa sospensione, questo salto della frase, racchiude il nucleo della fede come dubbio, come luce. E allo stesso tempo è sempre lei, la stessa domanda: essere o non essere?

O piuttosto: essere E non essere.

Questo spettacolo è una bestemmia, come la croce è bestemmia romana, come la corona di spine è bestemmia romana, come Gesù condannato, perché ha bestemmiato. Nel libro dell’Esodo la sola pronuncia del nome di JHWH è bestemmia. Dante scrive una bestemmia nel canto XXV dell’Inferno. Venerare il volto di Cristo nelle icone era bestemmia e idolatria per i cristiani bizantini prima del Concilio di Nicea. Galileo bestemmia quando dice che la terra gira intorno al sole.

Vedere il proprio padre perdere le feci per casa, in cucina, in salotto è bestemmia.

Questo spettacolo non è esatto, questo spettacolo è merda d’artista.

Romeo Castellucci

SUL CONCETTO DI VOLTO NEI FIGLI DI ARTAUD


Comunicato di Romeo Castellucci

Io voglio perdonare coloro che hanno tentato con la violenza d’impedire al pubblico di entrare in teatro.
Li perdono perché non sanno quello che fanno.
Non hanno mai visto lo spettacolo e non sanno che è spirituale e cristico; portatore, cioè, dell’immagine del Cristo.
Io non cerco vie brevi e odio la provocazione. Per questa ragione non posso accettare la caricatura e la spaventosa semplificazione che è stata data da queste persone.
Ma li perdono, perché sono ignoranti e la loro ignoranza si fa tanto più proterva e nefasta quanto più chiama in causa la fede.
Sono persone sprovvedute anche sul lato dottrinale e dogmatico della fede cattolica; si illudono di difendere i simboli di un’identità perduta, brandendo minaccia e violenza.
E’ molto forte la partecipazione irrazionalistica che si organizza e si impone con la violenza.
Mi dispiace per loro ma l’arte non è paladina se non della libertà di espressione.

Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine.
Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale.
Il volto di Cristo illumina con la potenza del suo sguardo tutto questo; e interroga ciascuno spettatore nel profondo.
È questo sguardo che disturba e mette a nudo; non certamente il colore marrone che, rivelando presto il proprio artificio, rappresenta le feci.
Allo stesso tempo - lo devo dire con chiarezza - è completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi.
Chi ha visto lo spettacolo ha potuto vedere la finale colatura di un velo di inchiostro nero scendere sul dipinto come un sudario notturno.

Questa immagine del Cristo del dolore non rientra nell’illustrazione anestetizzata della dottrina dogmatica della fede.
Questo Cristo interroga come un’immagine vivente e certamente divide e dividerà ancora. Per questa ragione io accetto le contestazioni e perdono quelle persone.
Voglio inoltre ringraziare tutto il Theatre de la Ville nella persona di Emmanuel Demarcy-Mota per tutti gli sforzi che sono stati fatti per garantire l’incolumità degli spettatori e degli attori.

RC

domenica 15 gennaio 2012

TETSUO - THE BULLET MAN


di Shinya Tsukamoto

Tetsuo America era stato annunciato nel 1995: forse allora il buon Tsuka l'avrebbe diversamente realizzato, ma ancora oggi il suo è un cinema senza freni né filtri, profondamente carnale, dirompente, eccessivo, tellurico, che attacca corticalmente, stravolge i sensi e i nervi ed è carnevale di rio per gli occhi. Un ordigno visivo al neutrone da plurimo attacco di panico, un bad trip di Stelarc, una primizia da far resuscitare e diventare priapico Melies e da far impallidire la buonanima di Leary, un caterpillar sensoriale che fa starnutire il cervello e rende un'arpa di diapason impazziti i nervi. Passano i lustri, Tetsuo goes to Hollywood, ma per Tsuka fare cinema equivale sempre alla preparazione di un'arma nucleare da 1000 teratoni.
I detrattori borbotteranno stizziti di spinta espositiva, di cedimento alla linearità, di Shinya minore, rammollito e marchettaro o di broda riscaldata.
Ciance: siamo all'oltre, con la O babelica.

Non ha del resto senso sentirsi traditi o vedere in Tsukamoto un venduto o aspettarsi una copia-carbone del primo. Sono passati 30 anni, e di mezzo è cambiato tutto: è cambiato il mondo, culturale sottoculturale e controculturale, sono cambiati gli approcci che al mondo si hanno, è cambiato il cinema, il modo di farlo, intenderlo, volerlo, fruirlo, e con esso è cambiato Tsukamoto che ha nel frattempo attraversato polimorficamente hybris distantissime tra loro ma sempre rispettando il suo rapporto morboso con la figura. Tetsuo occidentalizzato? Orbite da revenge-movie? Parvenza di happy end? Appiglio narrativo razionale? E con ciò?
Tsukamoto ha dimostrato, per l'ennesima volta, che si cambia solo per restare uguali e che
siamo ancora davanti a un cinema che eccede la forma, e per conseguenza il contenuto.
...Culo alla finestra? Guardia abbassata? Fiacca contenutistica/stilistica?
Basti farsi passare da parte a parte dalla scena dell'archivio per domandarsi come si può ritienere anche solo per scherzo stanco un cineasta come Tsukamoto, che in termini di radioattività non ha sicuramente perso un Rad.


voto? 3,14 per 3,14

TOKYO GORE POLICE


di Yoshihiro Nishimura



Follia elevata a costellazione e apologia dell'iperbole in questo genialoide delirio supersplatter che fa del survoltare un diktat e che compendia e coniuga tentazioni cronemberghiane di nova carnalia con lo scalmanato trascendere degno del più smisurato Miike, i riverberi del primo Tsuka e del Verhoeven fantascientifico (robocop e starship troopers gli spiriti guida) , ammiccamenti a The suicide club e linguaggio/fantasia del cartoon e del fumetto. Il tutto con uno spregiudicato senso della visionarietà che avrebbe fatto defluire il sangue a Dalì e Bosch, e lungi dal prendersi sul serio mortalmente sul serio (come fece un matrix, per intendersi) e anzi rastrellando rifiltrando e rimasticando in maniera consapevolmente baracconesca, caciarona, fracassona anarcoide ed epidermica eredità d'oriente come d'occidente: ne viene fuori un amalgama spassosissimo, strabiliante per chi certo cinema non lo conosce come le proprie tasche, di ampia godibilità per chi lo conosce bene, probabilmente irritante per chi lo conosce fin troppo.


Un imperdibile giocattolone post-postmoderno di quasi due ore fantasmagoriche e deliranti come pochissime a base di 1000 e una follia al minuto, urlate al megafono in tutto, nella lisergica fotografia ultrapop come nell'allucinato e demenziale umorismo nero.
Sirene-coccodrillo, bazooka spara-pugni, emorragie-geyser che fanno diventare razzi propulsori i moncherini e volanti i corpi, peni lanciarazzi, donne-sedia e miriadi d'altre inimmaginabili situazioni/soluzioni figurative. Questo sì che è un regista che, aggiustando un po' il tiro tecnicistico e stilistico, potrebbe permettersi di avere a che fare con l'immaginario di Barker, mica le pizzette noci e fichi di quel fetente di Kitammuort.

I più impenitenti otaku si preparino a fare 10 ole al minuto.

sabato 14 gennaio 2012

ENTER THE VOID


di Gaspar Noé


è il 2001 di noè dopo una scorpacciata di cioran
è l'inland empire misto joyce di noè dopo un'indigestione di lsd
è irreversible immerso nella bacinella della metafisica, messo in abisso
è una messa per l'Abisso che siamo
è un distillato di boria come non se ne erano mai visti prima
è meraviglioso
è orribile
è bellissimo, è pessimo
è uno di quei rari casi in cui è il film a guardare te, e non viceversa
è un mandala
è una sinusoide
è un logaritmo neperiano impazzito
è una tragedia dal futuro
è un palindromo perfetto
è zen
è pura amniosi filmica
è a vostro rischio e pericolo
è irritante
è affascinante
è una porcheria.
è immenso.
è inafferrabile.
è ineffabile
è autoindulgente e sadico come mai lo è stato nessuno prima d'ora, e come probabilmente (e per fortuna) nessuno potrà più essere.
è, in tutti i sensi, un faccia a faccia con il vuoto, con la sua pienezza ed egemonia
è qualcosa che ti lascia là incerto se salutarlo come una delle più immense lezioni di cinema di questi ultimi anni o come una sfacciata ed empia presa per il culo
è qualcosa che farà incazzare i più, e manderà in visibilio tutti gli altri, e che non permetterà mai di capire da che parte stare

è cinema?
si
no
devo ancora capirlo
non so se è giusto capirlo e sono certo che la sua forza stia tutta qui


fate il vostro gioco.

enter



SIX SIX SIX THE NUMBER OF THE HUMAN CENTIPEDE 2 - FULL SEQUENCE


di Tom Six
con Lawrence Harvey, Ashlynn Yennie, Vivien Bridson, Bill Hutchens

Sick transit gloria mundi?

Credevate tutti che in fatto di shock value Spasojevic avesse urlato a 10000 decibel l'ultima parola? Eccovi serviti, per cui datevi una bella pettinata ai peli sullo stomaco, o voi che entrate

Diciamocelo subito, Six è uno furbo. Un astuto prankster che titilla la morbosità tutta borghese e adolescenziale del volgo con la storia che tutti sappiamo e con un film potenzialmente schiacciante (leggi: Human Centipede 1), la cui carica esplosiva resta inesplosa e appena intravista in un concept volutamente tradito da f/x aborracciati. Al contempo offre un oggetto strambo folle e grottesco sorretto da una scrittura di scena tutt'altro che da vomito e ingiurie, con geometrie, inquadrature e fotografia inusitate per il genere. Dieter Laser (uno che non vorresti mai incontrare in un vicolo buio e abbandonato mentre rientri a casa) ha fatto il resto.
Gli assetati di traumi insanabili e violenza insorreggibile non ci stanno, storcono la bocca. Si può dare di più.
Nel sequel Six fa il giocoliere con le aspettative del fandom, rovesciando e sparigliando grammatiche estetiche dinamiche retoriche umori. Preme a tavoletta sull'acceleratore (letteralmente, anche: si badi a cosa è capace di combinare con una donna incinta in un taxi), dà da bere agli assetati, ma affogandoli, e questi ci stanno meno di prima e storcono ancor di più la bocca. Oppure capita che il programmatico tao funzioni alla grande, per cui chi ha disprezzato il primo applaude il secondo e viceversa. Più raramente un'insiemistica visione li fa apprezzare ambedue, come se fossero testa e croce di una stessa moneta.

Veniamo alla ciccia del secondo ordigno: abbiamo un alienato senza speranza regredito o rimasto fermo alla fase anale che ci rimane malamente sotto con la visione di Human Centipede (e qui potete già tirare le vostre brave somme metaquelchevipare sulle derive di una fruizione sbagliata che porta a pericolosi processi plagiari ed emulativi), e decide di elevare al cubo le gesta del mad doctor del capostipite, incurante però dell'aspetto prettamente medico.







Attorno a lui una serie di prototipi che offrono il fianco al grottesco: una madre castrante, un padre assente che abusò di lui, la caricatura di un freud che vorrebbe sostituirsi al padre, un vicino neonazista che dà loro una discreta dose di legnate a ogni "abbassa la tua radio per favor". Ah, e c'è anche una scolopendra eletta ad animale domestico. Volto da coleottero, asma perenne, il mutacico Paviglianiti d'oltremanica dopo aver suggellato la visione masturbandosi col coadiuvante ausilio della carta vetrata, stende a colpi di cric e di pistola chiunque gli si para davanti. Meglio ancora, usa come specchietto per le allodole un falso casting per il sequel di Human centipede che avoca fan e attori del primo (aridaje di strafottenza/astuzia metatestuale) e come sopra, daje de cric e de pistola. Tutto il resto è conseguenza: radunato il propellente umano in un capannone abbandonato, il sogno si fa (trita)carne, che il nostro coronerà recidendo tendini, graffettando labia et genitalia e tutto il peggio che siete in grado di figurarvi. Al centipede umano non fare sapere quant'è buono il lassativo con le pere. A+B= C(acca).
E non finisce mica qui: a ciliegiar la torta accorre la vera mazzata finale (di cui i più sono rimasti orfani, siccome le sculacciate di Mamma Censura): non pago e non sazio, il nostro eroe stupra il centipede dopo essersi infiocchettato il pipino con doppia mandata di filo spinato (proprio un vizio, il suo). Oh yeah!





Ai talebani della ratio e della coerenza, ai detrattori che hanno minacciato di morte il regista, come agli sfegatati ultràs che gli hanno chiesto di partecipare a HC2 dichiarandosi addirittura disposti all'uso di vere feci (sic) è in dirittura d'arrivo dato tanto di benservito: quanto testimoniato fino al minuto 84 è un
in mente dei di Martin, un po' come -tanto per scomodare Buttgereit- quel che accade nel continuo rewind-fastforward mnemonico in Schramm.
Ed ecco puntuale e amplificata la pernacchia dell'artifex: "vi ho perculato tutti, belli e brutti. Chi si tira seghe davanti all'eccesso e chi mi vorrebbe morto e mi crede un maniaco sulla base di inquisitori e ottusi 2+2. Questo è solo un film, col quale ho infantilmente giocato a specchioriflesso divertendomi un mondo. Siete tutti Martin o sua madre, HC2 è solo un gioco!"

Tutto qui? Niente più di una paraculata che affonda le sue radici nel situazionismo spicciolo?

Vamos a ver.

Poche storie, Tom Six è uno bravo. Un astuto facitore di atmosfere catramose, sordide, umidicce, agghiaccianti, avallate da un suppurato b/n sublimemente fotografato e da un protagonista che pare deiettato da un girone dantesco o da un canto di Maldoror o dal giardino dei supplizi, un keatoniano ceffo che si carica tutta l'opera sul groppone con una mostruosa aderenza da fare impallidire il più intransigente Stanislawski.




Six ti costruisce bel bello un film con/sul nulla, sprofondandoti ad ogni frame sospinto nello straniamento ora ipnagogico ora ipnopompico. Il cinema si fa setticemica eidesis. E' questo quel che colpisce, più ancora dell'ade parametrica spadellata nell'ultima mezzora (che pure ti lascia esanime a interrogarti se dopo i vari interieur frontiers martyrs srpski darfur e compagnia torturepornante le avevamo davvero incassate tutte): la paranormale stranezza, l'indecidibilità dei toni, la perturbazione psichica ed emotiva del vivere un incubo lucido a occhi aperti. Il sentirsi impazzire come se Lynch coi suoi 5 minuti e il più scellerato Zeno entrassero in rotta di collisione. Come il più catabasico Castellucci totalmente fuori controllo dopo un Kargl di troppo (la mdp sempre adesa al protagonista, deve più di qualcosina a angst). Come un bad trip di Ciprì e Maresco dopo una scorpacciata di PCP.

Se la nullità dell'idea attorno alla quale il film bascula è direttamente proporzionale alla malattia mentale di chi l'ha concepita (in senso buono, ché un incontro ravvicinato con gli autori scongiura certe equazioni da agente della digos: il sagace Harvey oltre a mostrare una conoscenza del cinema e un'intelligenza fuori dal comune, ha un'aria dolcissima e ti viene voglia di sbaciucchiarlo; Six è affabilissimo, pacioso e costantemente incline al sorriso e allo scherzo), l'idea di cinema di Six basta sicuramente a sorreggerla fino alla fine, anche se è davvero un peccato che l'ipnoinducenza e il delirio allucinatorio dei primi sbalorditivi 50' cedano poi il passo alla tautologia dello choc, della fecalità e del vomito a buon mercato contro i quali è dura trovare una qualsivoglia chiave d'estraniamento.

A mio gusto, il film spiazza, disturba e fa sudar ghiaccioli più quando ravana nel grottesco spinto, nella psicotropia e nella psicotronia (i siparietti stralunatissimi con lo psicologo, con la madre, o col vicino di casa, tutti di eraserheadiana memoria), o quando si raggiungono climax di minaccia come quello nella scena col bambino di colore (che fa un bel paio con una sequenza consorella di Murder set pieces), creando un tempo parallelo in cui ti accorgi troppo tardi di essere immerso senz'altra via di uscita che quella di spegnere il lettore, che non quando sbraca nell'escalation ipersplatter e nel discesismo di vomito feci e plasma (che comunque una ferita bella profonda la lasciano), alla stupita e incredula faccia di Bazin.

E' evidente che per Six malati di mente e pubblico criticamente maturo si equivalgono, e qualunque cosa accadrà col conclusivo terzo capitolo (la butterà in burletta? spingerà l'idea su scala planetaria? creerà il nastro di Moebius? avremo un centipede di neonati? una miscellanea di vivi, morti, decomposti, bambini e animali?), da ora se non altro siam svezzati e pronti a qualsiasi peggio. O quasi: se è vero quanto fin d'ora proclamato ("il terzo farà sembrare disney il secondo"), c'è da preoccuparsi. Molto.

Tom Six si è messo nella stessa posizione di un Lynch dopo Inland empire, di Noè dopo Enter the void o di Spasojevic con Srpski: sarà interessante vedere se supererà se stesso o farà tre passi indietro con tanti auguri.


Il teaser del terzo, intanto, è già spremuto dal tubetto. Staremo a verificare se è vero, come da detto popolare, che alla terza si bastona.